Volendo semplificare, Climax (nelle sale italiane a partire dal 13 giugno) potrebbe essere riassunto come il racconto di una festa dai risvolti inaspettati. La realtà tuttavia non è così semplice: Climax è prima di tutto un film di Gaspar Noé, un regista che con opere come Irréversible (2002) e Enter the Void (2009) aveva già mostrato al mondo di non essere esattamente un autore sobrio e pacato. Il suo ultimo lavoro prosegue il suo personale percorso di frammentazione e destrutturazione dell’immagine filmica, e sebbene i contenuti proposti non siano shockanti come in passato, Climax è in ogni caso profondamente in linea con la sua visione estetica del medium cinematografico, che di fatto risulta ampliata da quest’ultima esperienza.
Ambientato negli anni ’90, il film ci mostra dunque i risvolti di un party organizzato da un gruppo di ballerini francesi per festeggiare la fine delle prove di uno spettacolo che hanno intenzione di portare in tour negli Stati Uniti. La festa prende però presto una brutta piega, dal momento che qualcuno ha aggiunto delle droghe allucinogene alla sangria che la maggior parte dei presenti ha bevuto durante la serata, finendo così per causare un traumatico bad trip collettivo. Paranoia, amplificazione percettiva, puro distacco dalla realtà: Climax trascina i suoi protagonisti in un vortice degradante nel quale l’umanità scompare per lasciare spazio alle pulsioni più malate e celate.
In tal senso, lungi dal voler sconfinare nella produzione di genere (ed evitando il rischio di trasformare il tutto in un semplice whodunit), Gaspar Noé utilizza invece il soggetto del suo film solamente come punto di partenza per proporre allo spettatore un progressivo delirio lisergico attraverso la forma di un vero e proprio attacco ai sensi. Il film, girato con uno script minimale e quasi interamente improvvisato dagli attori, dopo aver stabilito le sue premesse si presenta nella sua seconda metà per quello che realmente è: espressione della corporeità, sessualità sfrenata e costantemente esibita, violenza inaspettata e immotivata, bombardamento di immagini, musica e grida.
Lo stile con il quale il regista franco-argentino decide di mostrarci il collasso fisico e mentale dei personaggi del suo film è in netta continuità con i suoi lavori precedenti. Dal frequente uso del piano sequenza (il più lungo dura 42 minuti) ai movimenti frenetici della macchina da presa, il regista trascina direttamente lo spettatore all’interno dell’azione, alterando operativamente la temporalità filmica e la sua percezione, cercando di istituire così un parallelo tra l’esperienza cinematografica spettatoriale e il vissuto dei personaggi. Inoltre, Noé ricorre spesso alla plongée per mostrarci con un occhio apparentemente imparziale ed oggettivo alcune sequenze di danza, che ad esclusione della prima sono anch’esse interamente improvvisate dagli attori, sequenze che contribuiscono a tratteggiare ulteriormente il graduale distacco dalla realtà provato dai personaggi.
A tal proposito, tra le migliori prove attoriali del film spiccano in particolare quelle di Souheila Yacoub e di Sofia Boutella. La prima interpreta Lou, una ragazza che durante la sera rifiuta più volte di bere la sangria contaminata e che si trova dunque ad essere additata dagli altri ragazzi come la principale responsabile dell’avvenuto. Il suo personaggio, già mostrato dolorante nella primissima scena del film (foreshadowing che invita immediatamente lo spettatore a prepararsi per ciò che sta per visionare), diventa presto espressione reale e tangibile del delirio espresso dai suoi compagni e compagne, trasformando la mancata assunzione della sostanza nel dolore della carne. Per quanto riguarda invece Selva, la coreografa dello spettacolo interpretata da Sofia Boutella, il discorso è diverso: la ragazza cerca di combattere attivamente quanto sta avvenendo nel suo corpo ma non può che soccombervi, come testimoniato da una scena che sembra uscire direttamente da Possession (1981) di Andrzej Żuławski.
Il film del regista polacco peraltro viene citato esplicitamente in Climax nei momenti iniziali, quando Noé decide di mostrarci su una televisione i colloqui svolti da Selva con i ballerini. A fianco della televisione infatti è possibile vedere, oltre a Possession, una lista di titoli di libri e di film che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’influenzare il regista durante la sua carriera e che proprio in Climax sembrano essere chiamati in causa in diverse occasioni. Nel caos di immagini presentato da Gaspar Noé sembra esserci dunque una sola via d’uscita: accettare la natura del cinema stesso, dove realtà e illusione diventano un’unica cosa.
Daniele Sacchi