“La montagna sacra” di Alejandro Jodorowsky – Recensione

La montagna sacra

Guardare un film di Alejandro Jodorowsky non è un’operazione semplice. Innanzitutto, significa entrare nella mente del suo autore, scoprire la sua personale visione del mondo e dell’uomo. In secondo luogo, significa entrare in contatto con uno stile registico imprevedibile, surreale ed estremamente simbolico. Nel caso de La montagna sacra (1973) è necessario in tal senso compiere un grande sforzo dal punto di vista spettatoriale per comprenderne a fondo lo sviluppo e le ragioni, ma una volta svelato ciò che si cela al di là della mera apparenza diventa presto evidente il perché sia considerato il magnum opus del regista franco-cileno.

Volendo individuare una struttura al film, la trama può essere suddivisa nei classici tre atti, sebbene le regole tradizionali della narrazione vengano di fatto completamente sovvertite. Nella prima parte de La montagna sacra, Jodorowsky ci mostra il progressivo superamento dalla propria condizione di dissoluzione di un personaggio chiamato il ladro che assomiglia molto a Gesù Cristo. Dopo una serie di disavventure (come nel caso di alcune figure apparentemente religiose che lo inducono ad ubriacarsi per poi creare dei modelli di cera del suo corpo inerme raffigurante la crocifissione), il ladro raggiunge una torre nel quale risiede un alchimista, interpretato da Jodorowsky stesso. Nella seconda e nella terza parte del film, l’alchimista introduce al ladro alcune delle figure chiave che lo accompagneranno nel viaggio verso la cosiddetta montagna sacra, un luogo che potrà garantire loro l’illuminazione spirituale.

A giocare un ruolo fondamentale ne La montagna sacra sono lo strumento dei tarocchi, e nello specifico i tarocchi marsigliesi. «I tarocchi ti insegneranno a creare un’anima»: nel corso della sua preparazione, il ladro impara dall’alchimista alcune delle proprietà fondamentali di questi strumenti, che vengono di fatto presentati come simboli capaci di determinare con precisione l’essenza di ciascuna delle persone con le quali si recherà alla montagna sacra. Proprio il ladro ad esempio rappresenta la carta de Il Folle, che come spiega il regista stesso simboleggia la libertà totale, l’assenza di limiti e definizioni. La visione di Jodorowsky dell’arte dei tarocchi si allontana dalla concezione popolare e si avvicina al loro uso reale, dove il misticismo incontra l’introspezione psicologica: il tarocco come linguaggio ed espressione del presente, in grado di connettere il tutto attraverso «la danza della realtà», nella quale «il mondo danza attorno a te e ti dà ciò che cerchi».

La montagna sacra

In tal senso, La montagna sacra è il racconto e la messa in atto di un processo di superamento del Sé. Il ladro si allontana gradualmente dalla propria concezione di sé, rifiutando non solo di identificarsi nella figura che sembra determinarlo fisicamente, Gesù Cristo, ma anche abbandonando il proprio statuto attuale. L’alchimista trasforma gli escrementi dell’uomo in oro, mostrandogli l’effettiva possibilità di un cambiamento in positivo. Nel momento in cui l’alchimista intima al ladro di osservare se stesso in uno specchio, quest’ultimo reagisce infrangendo lo strumento proprio con l’oro, non accettando la realtà dell’immagine e accettando così l’invito dell’alchimista.

L’obiettivo del gruppo di persone unite dall’alchimista, lo scalare la montagna sacra verso la conoscenza dei segreti del mondo, pertanto non può che essere perseguito se non con il rifiuto della propria immagine di sé, rappresentato ulteriormente dalla necessità di questi di bruciare delle copie in cera dei loro corpi. In continuità con il frequente ricorso all’immaginario religioso (non solo cristiano, ma universale), La montagna sacra si presenta dunque come un discorso che critica aspramente l’idea di religione intesa come un prodotto soggetto a controlli esterni rispetto alle singole individualità. La ricerca dell’essere e del suo significato è personale e passa solamente dall’uomo, rifiutando riduzioni istituzionalizzanti (che per Jodorowsky conducono solo alla violenza) e la costruzione di immaginari artificiali.

L’arrivo del gruppo presso l’isola dei Lotofagi, nella quale si trova per l’appunto la montagna sacra, rappresenta prima di tutto l’incontro con quelle figure che si sono perse nella materialità e non sono riuscite ad avvicinarsi alla verità. L’abbandono della sofferenza, per Jodorowsky, deve essere perseguito non solo nel rifiuto della propria immagine, ma anche del vizio. Solo in questo modo, insieme alla sconfitta delle proprie paure più intime e radicate, si potrà raggiungere la tanto ambita verità assoluta: l’assenza di ogni verità. Per poter così, tornare alla realtà.

Daniele Sacchi