Comandante di Edoardo De Angelis, la recensione (Venezia 80)

Comandante

Pierfrancesco Favino interpreta il Comandante della Regia Marina italiana Salvatore Bruno Todaro in Comandante di Edoardo De Angelis, il “nuovo” film di apertura dell’80esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia subentrato dopo il forfait di Challengers di Luca Guadagnino dovuto allo sciopero degli attori hollywoodiani. Il regista napoletano – che è anche co-sceneggiatore del film insieme allo scrittore Sandro Veronesi – porta in concorso una storia realmente accaduta durante la seconda guerra mondiale, in quello che di fatto si presenta come un atipico kolossal italiano moderno (il budget del film si aggira attorno ai 15 milioni di euro, una cifra enorme per il panorama cinematografico nostrano).

Nell’ottobre del 1940, il sommergibile Cappellini comandato da Todaro affonda un mercantile armato nemico, il piroscafo belga Kabalo. Una volta portato a termine il proprio compito, però, Todaro prende una decisione controversa: cercare di salvare i marinai dell’imbarcazione appena affondata. Il Comandante Todaro lega dunque la zattera dei sopravvissuti al sommergibile in modo da trasportare in sicurezza i 26 naufraghi belgi, rendendosi tuttavia facilmente visibile alle forze nemiche inglesi.

Com’è facilmente intuibile anche solo dalla decisione di De Angelis e di Veronesi di voler trattare di un evento storico unificante di tal portata, Comandante appare come un’opera sostanzialmente “di messaggio” che direziona tutti i suoi sforzi produttivi e creativi nel sottolineare i valori etici di cui si fa portatrice. E in tal senso, al di là della singolarità, della particolarità, dell’unicità dell’evento in sé, Comandante è un film che cerca di tendere all’universale opponendosi alle logiche guerrafondaie per celebrare la solidarietà con l’Altro, la vicinanza e il sentimento di fratellanza che si muove al di là delle bandiere e delle fazioni. «L’essere umano davvero forte è quello capace di tendere la mano al debole», ha dichiarato d’altronde De Angelis.

Uno degli elementi cruciali di Comandante è la messa in scena di un melting pot culturale e umano che, prima ancora di riguardare i naufraghi da salvare, abbraccia le peculiarità della penisola italica. Da questo punto di vista, il sommergibile Cappellini è prima di tutto un concentrato di italianità, a partire dalla varietà dialettale dell’equipaggio sino ad arrivare alle ricette tradizionali del cuoco di bordo (sintomatica in tal senso è la sequenza dello sbeffeggio scherzoso nei confronti delle tipicità culinarie del “nemico”, ma anche nella macchiettistica esibizione canora dello stesso cuoco napoletano). Sorprende la ricerca di uno pseudo lirismo intellettualizzante in alcuni momenti, come nel voice over di una delle compagne degli uomini dell’equipaggio o nella scena del sacrificio di uno dei marinai, scelta che stona sensibilmente con il tono generale del film, persino se paragonato al discorso eroico (già di per sé fuori tempo massimo) circa la figura di Todaro che permea costantemente il racconto.

Nonostante le buone intenzioni, Comandante si perde presto in una retorica semplicistica che non sembra in grado di commentare lucidamente il Reale (se non per il suo appello alle “leggi del mare”), una retorica moralista posticcia culminante in quel «perché siamo italiani» che, a monte, rischia di far collassare tutto il discorso di vicinanza che il film vorrebbe suggerire, abbandonando l’universale e ritornando al particolare. La grande interpretazione di Favino non è sufficiente a tenere in piedi un’opera che, nel tentativo di commentare le ingiustizie del contemporaneo (dal conflitto russo-ucraino alla crisi migratoria), si imbeve di un preciso immaginario storico e di un patriottismo non richiesto chiedendo allo spettatore di chiudere un occhio su tutte le contraddizioni demagogiche che porta inevitabilmente con sé.

Le recensioni di Venezia 80

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Daniele Sacchi