Elemental di Peter Sohn, la recensione

Elemental

Per capire la cultura statunitense, bisogna esaminare a fondo il concetto di multiculturalità e di diversità su cui la Nazione si fonda. La costante ricerca di un equilibrio da parte del popolo americano è tesa tra il loro essere cittadini USA e le loro radici identitarie (spesso lontanissime, geograficamente e nel tempo), una ricerca che spesso definisce l’identità di comunità piccole e grandi e che in molti casi finisce per strutturarne preconcetti e pregiudizi. Elemental, l’ultima fatica della Pixar, riflette in maniera diretta sull’attualità con una tenera commedia romantica tra due giovani proprio di estrazioni diverse, due figure apparentemente incompatibili, come l’acqua e il fuoco.

Il punto di partenza del film sono proprio gli elementi. Prima la terra, poi l’aria, l’acqua e infine il fuoco. Element City, la grande metropoli teatro del racconto, è il risultato di secoli di diverse ondate migratorie. Element City è New York, con la sua immensa multiculturalità, i palazzi, la metro e i suoi giganteschi parchi. È anche il luogo dove negli anni sono confluite milioni di persone in fuga dalle difficoltà dei loro Paesi d’origine, pronte ad affrontare uno shock culturale importante nel tentativo di adattarsi ad un ambiente inospitale e ostile alla diversità, ghettizzandosi, cercando di ricostruire pian piano la loro comunità, o almeno, qualcosa che la ricordi vagamente, dal cibo alle usanze.

La faccenda diventa problematica per le generazioni successive, nate in un contesto in cui il rapporto con le radici è fortissimo, ma che loro non riescono a riassorbire. Parlano la lingua dei padri, ma non sono mai stati nella loro terra natia. Questo è lo scenario in cui Ember nasce e cresce, subendo il peso di sentirsi da sola l’erede di tutta una popolazione. Ember è fatta di fuoco, un aspetto che ovviamente riflette anche la sua personalità, è energia pura, forte, ma ha anche difficoltà nel contenere la rabbia e nel mantenere il controllo. Sarà l’incontro con Wade a cambiare la sua vita, un acquatico, una persona appunto trasparente ed empatica: insieme riusciranno a scavalcare quel muro che le comunità hanno eretto tra loro per difendersi.

Nonostante la storia d’amore, centrale nell’economia complessiva di Elemental, il rapporto che incarna al meglio il cuore del film in realtà è quello tra Ember e il padre, personaggio assai complesso che più di tutti vive il trauma della perdita delle radici e l’ostilità di Element City, senza rendersi conto che dal suo arrivo il mondo è profondamente cambiato. Rispetto a uno Zootropolis, per citare un altro film in casa Disney che tratta tematiche simili, il contesto è meno infantile, e il forte legame della storia con l’esperienza personale del regista Peter Sohn attribuisce ad Elemental una dimensione più intima e profonda. Se in Zootropolis il fulcro della vicenda consisteva nella spinta a superare le apparenze, in Elemental si tratta invece del rapporto con le proprie radici, del “debito” nei confronti di chi ha sacrificato tutto per cercare di offrire una vita migliore ai figli. Da questo punto di vista, Elemental è un prodotto un po’ più vicino alla sfera di Soul, in quanto opere in grado di riflettere attivamente quella che di fatto è la nuova direzione assegnata alla Pixar da parte del colosso Disney.

Una nota a margine va al cortometraggio Carl’s Date di Bob Peterson che precede le proiezioni di Elemental, il quale rappresenta il grande ritorno dei corti Pixar sul grande schermo, un racconto che, con molta tenerezza, riporta al cinema due personaggi – Carl e Dug, il cane parlante – ripresi direttamente da uno dei film Pixar più amati, Up. Un episodio dolce che racconta la solitudine e la terza età, davvero un’ottima preparazione emotiva che anticipa a dovere i toni di Elemental, il quale, pur con la sua facciata colorata, la semplicità della sua avventura e le dinamiche americanocentriche, riesce a racchiudere in sé un messaggio attualissimo.

Alberto Militello