“Evolution of a Filipino Family” di Lav Diaz – Recensione

Evolution of a Filipino Family

Lav Diaz, ormai considerato come uno dei maggiori esponenti dello slow cinema, è un cineasta ostico, la cui produzione filmografica si presenta come un corpus arduo da assorbire e da metabolizzare fino in fondo. I film di Diaz, sia a livello contenutistico sia da un punto di vista più formale, sono dei veri e propri quadri in movimento nei quali lo spettatore viene chiamato a perdersi, a lasciarsi trascinare dal flusso del racconto, spesso per runtime molto elevati. Evolution of a Filipino Family (2004), nello specifico, dura poco più di 10 ore e rientra tra i film più lunghi di tutti i tempi (se escludiamo ovviamente alcune produzioni di stampo meno narrativo e più sperimentale), un’opera colossale che cerca di toccare con la sua peculiare operazione orizzonti di senso profondamente rilevanti.

Come spesso accade nei film di Lav Diaz, la narrazione prende le mosse da qualcosa di piccolo per occuparsi, in realtà, di qualcosa di più grande. Nel caso di Evolution of a Filipino Family, infatti, la vita quotidiana di una famiglia di contadini si presenta come un’analogia per raccontare allo spettatore la storia ricca di conflitti e di tumulti delle Filippine, e in particolar modo del periodo della dittatura di Ferdinand Marcos. Lav Diaz vuol far percepire allo spettatore la natura precaria dei rapporti umani e del concetto stesso di famiglia, mostrando il lento e progressivo declino della condizione dei personaggi del suo film. Evolution of a Filipino Family è un racconto di dolore e di sofferenza, ma anche di sopravvivenza e, in parte, di speranza nel futuro.

Evolution of a Filipino Family

L’immagine sporca, il bianco nero e i lunghissimi piani sequenza sono tutti elementi che supportano coerentemente i sentimenti che il regista filippino vuole comunicare attraverso la sua opera. Allo stesso tempo, la lunga durata del film – insieme all’attitudine slow che lo permea – regge il discorso simbolico portato avanti dal regista su ciò che viene rappresentato e sul suo significato extradiegetico, cercando di far letteralmente vivere allo spettatore il dramma di una popolazione costantemente ridotta a soprusi, creando dunque una precisa continuità tra l’apparato formale e quello contenutistico. Il regista filippino si confronta con la storia della sua Nazione, esaminandola da differenti angolazioni e restituendoci di fatto un vero e proprio simulacro del reale.

In un’intervista (cfr.), Diaz dichiara che in Evolution of a Filipino Family il suo obiettivo essenziale è quello di «catturare il tempo», facendo immergere lo spettatore in ciò che i suoi personaggi vivono e provano effettivamente sulla loro pelle, persino nei gesti apparentemente poco significativi della quotidianità. Anche solo il semplice atto di camminare, ad esempio, si pone come un dettaglio costitutivo e fondamentale che necessita di essere trasmesso a dovere dall’immagine cinematografica, così come la noia, la sofferenza, la morte. Lo scopo ultimo è affrontare «il mistero dell’esistenza umana» e comprendere, dunque, la vera natura dell’uomo. In tal senso, Evolution of a Filipino Family assume i tratti di un’esperienza universale che trascende il contesto specifico che mira a rappresentare, muovendosi dal piano del concreto e del materiale al piano ontologico e metafisico. Il ritratto che Lav Diaz ci restituisce del suo Paese è autentico, sincero ed incredibilmente vivido, con il pregio fondamentale di essere in grado di parlare a tutti: a patto, però, di saperne accettare lo stile e i ritmi.

Daniele Sacchi