“Zombi Child” di Bertrand Bonello – Recensione

Zombi Child

Il titolo potrebbe trarre in inganno, ma Zombi Child (2019) in realtà non è un classico zombie movie. Bertrand Bonello riparte da quanto emerso nel precedente Nocturama (2016) per tornare a parlare di adolescenza e di nuove generazioni, prendendo le mosse però da un punto di vista differente. Lasciato da parte il discorso sul terrorismo, Bonello parte dal concetto di zombie haitiano – legato a precise tradizioni ritualistiche voodoo – per raccontare due storie apparentemente non correlate tra loro che nascondono tuttavia un’importante connessione.

Nello specifico, Zombi Child si apre con un rito di zombificazione di un contadino di Haiti che si ispira a quanto accaduto a Clairvius Narcisse, un uomo apparentemente sottoposto alla stessa pratica tra gli anni ’60 e gli anni ‘80. La storia di quest’ultimo è stata già narrata ne Il serpente e l’arcobaleno (1988) di Wes Craven, adattamento dell’omonimo testo dell’antropologo Wade Davis, ma Bonello non vuole limitarsi a ripresentare la sua odissea, bensì intende usarla solo come punto di partenza.

Il regista francese, infatti, affianca ai fatti più esplicitamente legati all’uomo un intreccio ambientato oggigiorno a Parigi che vede come protagoniste due studentesse della prestigiosa scuola della Légion d’honneur: la giovane Fanny (Louise Labeque) e l’haitiana Mélissa (Wislanda Louimat), trasferitasi in Francia dopo il catastrofico terremoto avvenuto ad Haiti nel 2010. Presto, il legame tra Mélissa e la cultura voodoo del suo Paese diventerà fonte di estremo interesse per Fanny e il suo gruppo di amiche, conducendo ad una serie di risvolti inattesi.

Zombi Child

Bertrand Bonello non sembra essere interessato a sconfinare con il suo film nel genere horror, preferendo muoversi invece sui binari di un coming of age atipico, a tratti onirico ed allucinatorio, dalle suggestioni originali e capace di riflettere acutamente sul contemporaneo. Lo zombie in Zombi Child, come spesso accade nelle produzioni filmografiche che ne trattano (pensiamo ad esempio ai capolavori di George A. Romero) viene proposto come un veicolo per un’indagine politica che osserva con occhio critico la nostra epoca. «La figura dello zombie ormai è pop, ma riportata alla sua origine ci parla di schiavitù» (cfr.).

Bonello in tal senso si sofferma in particolar modo sul concetto di libertà. Come peraltro viene anche sottolineato da una lezione di storia alla quale Fanny e Mélissa si trovano ad assistere, la Francia post-Rivoluzione sembra non saper cosa farsene della propria eredità storica e dei suoi ideali fondativi. Il discorso di Bonello, già affrontato in Nocturama, verte in particolar modo sulla difficoltà nel trasmettere alle nuove generazioni il senso di responsabilità nei confronti dell’altro. Lo zombie in quanto schiavo diventa così prima una rappresentazione della popolazione haitiana, che dopo aver condotto la propria rivoluzione è stata soggetta al colonialismo francese, e poi un’analogia critica sulla Francia, dedita ad azioni di appropriazione culturale-identitaria e incapace di riflettere su se stessa.

Il fascino per il folklore haitiano da parte di Fanny e delle sue amiche, così come il tentativo da parte della protagonista di ricorrere al voodoo come strumento per soddisfare le proprie esigenze personali, rappresenta l’incapacità di comprendere il valore e il significato di una cultura che viene dunque metaforicamente zombificata, e, più in generale, la difficoltà nel trasmettere questa consapevolezza ai giovani. Bonello in Zombi Child cerca di smuovere la coscienza dello spettatore, portandolo a riflettere su una serie di meccanismi sociologici difficili da esaminare attentamente perché ormai parte della nostra quotidianità, ma la cui azione distruttiva non deve di fatto essere sottovalutata.

Daniele Sacchi