“Gunda” di Viktor Kossakovsky – Recensione

Gunda

Girato dal regista russo Viktor Kossakovsky e prodotto da Joaquin Phoenix, Gunda è un documentario che sta riscontrando un notevole successo di critica a livello internazionale. Presentato per la prima volta alla Berlinale lo scorso febbraio, il film ha avuto numerosi passaggi nel panorama dei festival cinematografici, ultimo tra i quali l’apparizione nel nostrano Torino Film Festival. L’opera non ha una trama convenzionalmente intesa, in quanto segue le vicende che si svolgono nel cortile di una fattoria in cui si alternano mucche al pascolo, polli che gironzolano e una scrofa (la Gunda che dà il titolo al film) che allatta i cuccioli. Il regista ci mostra, dall’insolito punto di vista degli animali, sia l’ordinario della vita nella fattoria, sia il suo straordinario, come il parto di una cucciolata di maialini o le fatiche di un polletto con una gamba sola.

Girato completamente in bianco e nero e senza dialoghi, la fotografia è sicuramente uno dei punti di forza di questa pellicola. Un’attenta costruzione dell’immagine e l’ampio utilizzo di primi e primissimi piani sui volti degli animali riescono a raggiungere un doppio obiettivo: da un lato alcuni dettagli risultano di forte impatto sul pubblico, come le scene dei cuccioli appena partoriti che non a caso aprono il film, mentre dall’altro hanno lo scopo di umanizzare i protagonisti del racconto. Ne è un esempio lo splendido primo piano che l’operatore dedica ad una coppia di mucche, che colgono con attenzione la presenza della macchina da presa, restituendo uno sguardo in macchina che è contemporaneamente bizzarro e affascinante.

Gunda

Nonostante la grande abilità con la fotografia, il tempo è sicuramente lo strumento meglio utilizzato da Kossakovsky. Analogamente a quanto fanno altri registi di documentario come Frederick Wiseman o Michelangelo Frammartino, il regista insiste a lungo su situazioni che potrebbero sembrare banali, ma che invece risultano fondamentali nel bilancio finale del film. Attraverso la persistenza del suo sguardo egli riesce a cogliere la realtà nel suo divenire. Questo suo insistere su situazioni ordinarie per lungo tempo permette allo spettatore di affezionarsi alle vicende degli animali protagonisti dell’opera.

In questo modo, dopo più di un’ora in cui assistiamo alle amorevoli cure di una scrofa per i suoi maialini, il finale arriva come un duro colpo, capace di attivare un meccanismo critico che riesce a trasmettere il messaggio animalista di Viktor Kossakovsky pur senza mai mostrare nulla di esplicito. Gunda è dunque uno splendido film, capace di affascinare con la sue splendide immagini, ma anche di stimolare importanti riflessioni sulla natura degli animali e dello sfruttamento del bestiame da parte dell’uomo.

Gianluca Tana