“His House” di Remi Weekes – Recensione

His House

Bol e Rial sono una giovane coppia del Sudan che, per scappare da un’esistenza opprimente e per cercare un’opportunità di condurre una vita tranquilla e serena, decide di emigrare in Europa assieme alla figlia. Durante il loro pericoloso viaggio verso la libertà, un nubifragio interrompe bruscamente quel sogno da tanto atteso, portandogli via la piccola bambina. Una volta “accolti” dal governo britannico, ai due viene assegnato un alloggio temporaneo dove, però, assieme a loro entrerà anche una terza presenza che metterà in discussione il loro tanto agognato nuovo inizio. Presentato all’ultima edizione del Sundance Film Festival, His House è il primo lungometraggio scritto e diretto da Remi Weekes – un giovane autore già premiato nel 2017 per il suo cortometraggio Tickle Monster – che, dopo il successo riscosso presso la kermesse americana, è stato acquisito da Netflix per la sua distribuzione.

Se inizialmente His House si inserisce nel genere drammatico, con una forte impronta sociale a fare da sfondo alla vicenda, all’improvviso compare nella diegesi, come anche nella vita dei due protagonisti, una sfumatura orrorifica che, poco a poco, acquisterà sempre più consistenza fino a culminare in un vero e proprio turbamento psichico in carne ed ossa.

His House

A un primo sguardo si potrebbe associare His House al progetto cui il regista Jordan Peele ha lavorato negli ultimi anni con i grandi successi di Get Out e Us. Jordan Peele, infatti, sta portando avanti un particolare tipo di cinema politico utilizzando la cultura afroamericana applicata ad un cinema d’autore di stampo horror che però cerca di comunicare con più pubblico possibile. Questa caratteristica risulta fondamentale nella comprensione della sua opera poiché uno degli obiettivi del regista afroamericano è quello di portare avanti una denuncia sociale e politica sull’America, spesso malata di ignoranza, egocentrismo, ipocrisia e razzismo, patologie che tuttora impregnano la società. Risulta quindi imprescindibile che il suo cinema realizzi una ricerca autoriale accessibile a tutti ma che sia soprattutto facilmente comprensibile ai veri destinatari della critica che Peele vuole portare avanti.

Pur accostandosi nella finalità ultima della loro arte, Weekes si differenzia da Peele poiché scrive e dirige una storia lontana dalla cultura statunitense ma molto vicina ai movimenti migratori di massa che hanno colpito l’Europa nel passato recente. In particolare, Weekes ambienta la sua storia tra il Sudan e la Gran Bretagna, scegliendo così di narrare una storia drammatica apparentemente lontana dallo scacco politico tipico di Peele ma mantenendo sullo sfondo una forte presa di posizione. Si tratta, infatti, di un racconto sul diverso, sull’accoglienza reciproca e sull’accettazione di un destino in qualche modo “privilegiato” rispetto a chi non è fisicamente riuscito ad ultimare il proprio viaggio verso la libertà.

L’elemento più interessante che Weekes inserisce nella diegesi del film è la marcata presenza della cultura africana e delle leggende che popolano il piccolo villaggio da dove Bol e Rial sono scappati. L’antagonista del film si inscrive in un leggendario stregone, detto Apeth, il quale perseguita coloro che prendono qualcosa che non gli è concessa e non gli appartiene.

His House

Infatti, appena Bol inizia a provare ad ambientarsi nella loro nuova casa, sia fisica che politica, l’uomo inizia ad avere strani incubi in cui la figlia, assieme ad altre strane creature dalle fattezze umane, permea le mura instabili della loro nuova casa. Questi incubi, assieme a delle vere e proprie visioni, se dapprima si concentreranno nelle pareti dell’abitazione (e quindi anche nei meandri della mente di Bol), in seguito riusciranno a prendere più concretezza, arrivando addirittura ad attaccare fisicamente l’uomo. Il peso, all’inizio non contemplato, di essere sopravvissuto al naufragio dell’imbarcazione che li stava portando verso la libertà sarà la battaglia che Bol dovrà combattere contro se stesso e contro l’Apeth. La soluzione? Riuscire ad accettare quello che è successo accogliendo la propria condizione di sopravvissuto e annettendo pacificamente alla sua famiglia le anime di tutti coloro che non sono riusciti ad arrivare alla propria destinazione.

His House tocca quindi molteplici generi cinematografici, ogni volta affrontando temi molto importanti e diversi tra loro. Se inizialmente la critica sociale si fa più presente sfruttando una narrazione drammatica e realistica, con il passare dei minuti il genere horror dà il via a una grande parentesi dedicata alla sfera psichica e psicologica dei protagonisti, accompagnata dal fil rouge della cultura folkloristica africana che fa di Apeth il fantasma che abita la mente e la casa di Bol e Rial. Un interessante viaggio nei meandri della mente umana, tra colpe e paure, desideri e tristezze, che si manifesta nella fisicità domestica dove dei grandi buchi neri cercheranno di far marcire le pareti della casa che separano la coppia dalla nuova realtà in cui stanno iniziando a vivere.

Erica Nobis