“Hellraiser” di Clive Barker – Recensione

Hellraiser

Nel 1986 Clive Barker pubblica il romanzo breve Schiavi dell’inferno, una delle opere più interessanti della sua carriera. La capacità dello scrittore inglese di proporre ai suoi lettori una convincente commistione tra la sfera sessuale e l’orripilante, il macabro, il sovrannaturale si presenta nelle pagine del suo racconto attraverso un forte ricorso al show, don’t tell che sembra quasi chiedere di più rispetto al medium cartaceo al quale è di fatto relegato. A partire da questa consapevolezza, Barker decide quindi di attuare un’operazione di rimediazione del suo lavoro integrandolo con l’immagine cinematografica, debuttando alla regia l’anno successivo con Hellraiser (1987).

Il film, che nel corso degli anni ha dato vita ad un vero e proprio franchise (ad oggi sono 9 i sequel che cercano – malgrado grandi fallacie qualitative – di espandere l’ecosistema narrativo creato da Barker), è un prodotto atipico se rapportato al panorama slasher all’interno del quale viene spesso collocato. Di fatto, Hellraiser non rientra nei canoni del genere, sebbene i suoi stessi sequel abbiano cercato di muoversi verso tale direzione. La particolarità dell’opera di Barker infatti è, nello specifico, la sua capacità di inoltrarsi in territori più esplicitamente autoriali, similmente a quanto svolto ad esempio da David Cronenberg in precedenza e in parte anche nello stesso periodo (si pensi a Il demone sotto la pelle del 1975 o a La mosca del 1986).

In tal senso, Hellraiser rifugge da ogni forma di riduzione tassonomica per presentare invece un intreccio che gode di una natura propria, difficilmente collocabile in un orizzonte specifico se non – a margine – quello proprio del body horror. La trama racconta di un uomo di nome Frank (interpretato da Sean Chapman) e della sua ricerca del piacere assoluto: un percorso che, come si può osservare nell’incipit del film, non può che passare attraverso la dimensione del dolore. L’uomo, infatti, recupera un oggetto dai poteri arcani, la Scatola, che gli consente di entrare in contatto con delle misteriose figure, i cenobiti (i Supplizianti nella versione italiana). Dopo che quest’ultimi fanno letteralmente a pezzi il suo corpo, spetterà alla sua ex fiamma Julia (Clare Higgins) il compito di aiutarlo a riprendere la sua forma umana, cercando allo stesso tempo di tenere nascosto il tutto al marito Larry (Andrew Robinson) e alla figliastra Kirsty (Ashley Laurence).

Hellraiser

In primo luogo, Clive Barker decide di assegnare gli elementi orrorifici del suo film a due domini distinti ma comunicanti: l’aspetto sessuale e carnale, che si sofferma come anticipato su una concezione sadomasochistica intesa non come pratica erotica ma come condizione necessaria per elevare il proprio Sé, e l’aspetto più strettamente sovrannaturale, rappresentato dalla Scatola e dagli inquietanti cenobiti guidati da Pinhead (Doug Bradley). Quest’ultimi, in particolare, si allontanano dai tradizionali villain del cinema horror per proporsi invece come delle figure sì malvagie, ma il cui raggio d’azione rientra nel campo di chi richiede, attivamente o subconsciamente, il loro intervento. I cenobiti, realizzati da un punto di vista stilistico in un antropomorfismo BDSM del mostruoso, non vogliono soggiogare l’alterità aprioristicamente, ma attendono che sia la coscienza dello stesso soggetto ad accettare il desiderio di un incontro con la loro dimensione e dunque con il tipo di esperienza del dolore che ricercano.

A incarnare invece la funzione narrativa classica dell’antagonista è Frank, la cui quest per recuperare la propria integrità fisica richiede l’intervento di Julia. La donna, sebbene pienamente consapevole delle proprie azioni, è completamente sottomessa alla volontà di Frank, anche in luce del rapporto passato tra i due. L’uomo, che nella sua apparenza mostruosa è interpretato da Oliver Smith, ha bisogno di annettere al suo corpo spezzato e distrutto la carne di altre persone, e la sua trasformazione è, parallelamente al suo bisogno iniziale di raggiungere un climax esperienziale nella compenetrazione tra piacere e dolore, un’ulteriore tensione mossa verso lo stesso scopo. L’enhancement a-tecnologico di Frank passa attraverso un lavoro di ricomposizione che richiede necessariamente lo sfruttamento dell’altro, sia attivo nel caso di Julia sia passivo nel caso delle sue vittime.

Se da un lato la componente fantastica è presente e centrale nelle dinamiche di sviluppo della trama di Hellraiser, dall’altro lato il film di Clive Barker è in ogni caso un’indagine che non perde mai di vista il suo focus sull’uomo e sui suoi aspetti più oscuri. Il regista inglese riarticola le stesse premesse del suo Schiavi dell’inferno, ma traslandole in immagine le catapulta con successo nell’immaginario globale, adeguando così il suo stile di scrittura grafico e viscerale ad uno stile visivo altrettanto estremo.

Daniele Sacchi