“Swallow” di Carlo Mirabella-Davis – Recensione

Swallow

Un perfetto e luminoso caschetto biondo si staglia su un paesaggio lacustre spettrale. Si tratta di una giovane donna che osserva attentamente il panorama dal terrazzo della fiabesca ma stridente casa di vetro in cui vive. Sembrerebbe quasi di essere immersi all’interno dell’ecosistema racchiuso in una delle famose palle di vetro che ogni Natale, in quasi ogni casa, vengono riposte su uno scaffale per decorare l’ambiente. Hunter, così si chiama la ragazza protagonista di Swallow, ricorda una di quelle creature che abitano questi piccoli e malinconici oggetti e, come lei, anche la sua vita sembra costretta nello stesso spazio limitato arrestato nel tempo, nell’attesa che una causa esterna dia finalmente una scossa tale da far rianimare, anche se per pochi istanti, l’inanimato.

Se, in effetti, Swallow (“ingoiare”, in inglese) potrebbe facilmente racchiudersi in questa semplice metafora, la diegesi messa in scena dal regista Carlo Mirabella-Davis risulta tutt’altro che semplice se confrontata con lo stile narrativo portato avanti dalle immagini che compongono il film. Mirabella-Davis, infatti, ricorre ad una forma perfettamente adattabile all’immagine di sé che la protagonista Hunter dona a chi la circonda. I colori semplici ed eleganti, mai sgargianti, e la fotografia fissa e proporzionata seguono quella che sarà l’evoluzione di Hunter che, se inizialmente accetta la sua perfetta vita da moglie casalinga, con il passare del tempo, ma soprattutto con l’arrivo di una gravidanza, capisce che, forse, la perfezione che aveva sempre agognato – e poi ottenuto – era solamente uno scudo di protezione verso la verità, verso l’accettazione del suo passato e della sua vera identità.

È così che, con l’inizio della gravidanza – che coincide anche con l’avvio del suo folle percorso di accettazione – i colori pastello iniziano ad intervallarsi con degli schizzi di colore acceso, vivo, che stridono con tutto ciò che li circonda. Il rosso, soprattutto, diventa sempre più presente sia nelle immagini che nella vita della stessa Hunter. Il primo oggetto che la protagonista ingoierà sarà infatti una biglia rossa e sarà rosso anche il colore del sangue (e del dolore) che Hunter perderà più volte nel corso del suo percorso di malata “guarigione”. Piano piano, quindi, la sua vita scolorita tornerà a prendere colore e questa caratteristica combacerà con la rottura della palla di vetro in cui si era costretta a vivere.

Swallow

Ma oltre a ragionare sulle peculiarità formali delle immagini di Swallow, un altro aspetto interessante affrontato dal regista e sceneggiatore statunitense si dà proprio nella presentazione del personaggio stesso di Hunter e della sua particolare psiche. Sin da subito lo spettatore nota che Hunter sta vivendo una vita non sua, anche se sembrerebbe immergersi totalmente nella parte che il facoltoso marito e la sua famiglia hanno costruito per lei. Se inizialmente viene trattata da tutti coloro che la circondano come una moglie-oggetto, quando viene annunciata la gravidanza qualcosa sembrerebbe cambiare, e sono proprio queste piccole attenzioni in più che spingono la mente di Hunter a risvegliarsi da quel sonno profondo in cui si era assopita.

Questo suo ridestarsi ha, però, anche delle conseguenze negative. Ecco quindi che, nel perfetto contorno famigliare presentatoci da Mirabella-Davis, subentra un disturbo denominato Pica, o picacismo (dal latino pica, gazza). Questo disturbo consiste nell’ingerire sostanze e/o oggetti non nutritivi in modo continuativo e può provocare gravi problemi di salute, proprio come accade ad Hunter che, per numerose volte, viene portata in ospedale per estrarre gli oggetti pericolosi che ingerisce. Ma perché Mirabella-Davis sceglie proprio questo particolare disturbo? Forse non esiste una risposta a questa domanda, ma analizzando accuratamente il personaggio di Hunter e la sua storia forse una piccola spiegazione esiste. Quando si ingerisce qualcosa, quel qualcosa inizia a fare parte di te, non è più accessibile a nessun altro perché si trova all’interno del proprio organismo e, per questo, diventa inarrivabile. Hunter non ha mai avuto niente: quello che possiede è di proprietà della ricca famiglia del marito e anche il figlio che porta in grembo non riesce a sentirlo suo poiché lo vede già nelle “grinfie” del marito, con un futuro scritto ancora prima di essere venuto al mondo. Gli oggetti che Hunter decide di ingerire sono oggetti di uso comune, senza un valore e, soprattutto, molto pericolosi poiché appuntiti. Per Hunter, però, sono l’unica cosa di cui può avere il controllo, l’unica cosa che la fa sentire viva e che conserva con minuziosa cura, esattamente come una gazza che afferra un oggetto per riporlo nel suo nido, dove detiene il pieno controllo.

Swallow, oltre ad essere un film complesso, si rivela un importante viaggio all’interno della psiche di una donna fragile che però, con estrema sofferenza, trova la forza di rompere la sfera di vetro che la circonda e di accettarsi per quella che è, senza dover chiedere aiuto a nessuno.

Erica Nobis