“Kinderblock – L’ultimo inganno” – Intervista al regista Ruggero Gabbai

Kinderblock - L'ultimo inganno

Nel 1997 insieme al CDEC – Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – e agli autori e storici Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto, il regista Ruggero Gabbai ha realizzato il film Memoria, documentario corale sulla Shoah italiana in cui 93 ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz ripercorrono i tragici eventi che dalla promulgazione delle leggi razziali del 1938 li hanno portati a salire su carri bestiami diretti verso il luogo in cui avrebbero vissuto sulla propria pelle il capitolo più buio della storia contemporanea. Da quel momento e a partire da quel sodalizio, il regista non ha smesso di fare della Memoria e della testimonianza diretta una scelta di attivismo e militanza, raggiungendo e descrivendo nei suoi film molti dei luoghi in cui l’ebraismo italiano si è scontrato con l’antisemitismo e la persecuzione: il campo di concentramento di Fossoli (Gli ebrei a Fossoli, 2006), la deportazione degli ebrei italiani dell’isola di Rodi (Il viaggio più lungo, 2013) e la razzia del ghetto di Roma (La Razzia, 16 ottobre 1943, 2018). Questo percorso che avanza parallelamente alla ricca filmografia del regista raggiunge il suo culmine con il documentario Kinderblock, l’ultimo inganno (2020) che racconta l’orrore all’interno dell’orrore: la vita nel Kinderblock, il blocco di Auschwitz in cui vivevano i bambini che il dottor Mengele utilizzava per esperimenti.

Il film, prodotto dalla Fondazione Museo della Shoah e dalla Goren Monti Ferrari Foundation in collaborazione con Rai Cinema, riporta le sorelle Andra e Tati Bucci – sopravvissute al Kinderblock – nei luoghi della persecuzione e della deportazione, da Fiume ad Amburgo, passando per Trieste ed Auschwitz. Le due donne, che all’epoca avevano 4 e 6 anni, rievocano ricordi di infanzia frammentari, entrambe sempre presenti all’interno dell’inquadratura e mai separate, così come 80 anni prima l’una al fianco dell’altra nel vivere l’esperienza che avrebbe per sempre segnato le loro vite. Le parole di Tati e Andra sono tessere di un mosaico incompleto, che l’autore Marcello Pezzetti aiuta a completare, contestualizzando la vicenda e inquadrandolo nel più ampio quadro della grande storia, arrivando là dove i ricordi delle allora bambine non possono arrivare. Il documentario è segnato da un’ombra, una pesantissima assenza che diventa presenza quando rievocata dalle donne con dolore e senso di colpa: il piccolo Sergio De Simone, cugino di Tati e Andra, non è riuscito come loro a fare ritorno.

Kinderblock - L'ultimo inganno

Com’è stato lavorare con Andra e Tati Bucci e rapportarsi alla memoria di quelle che all’epoca erano due bambine?

Lavorando con testimoni che all’epoca erano bambine è stato importante impostare il racconto in maniera razionale seguendo un chiaro schema. Abbiamo fatto sì che le due testimoni entrassero all’interno del viaggio. La produzione è stata pensata per fare attraversare i luoghi dell’arresto, della persecuzione e della deportazione.

A cosa è dovuta la scelta di far avanzare il racconto attraverso un’intervista di coppia?

Kinderblock non è il primo film che giro ad Auschwitz. Quando lavoriamo in un luogo di dolore – Auschwitz è il più grande cimitero ebraico al mondo – dobbiamo avere molta sensibilità durante l’intervista. Parte di questa sensibilità si manifesta nella scelta della troupe, che in questi casi deve essere quasi invisibile. Abbiamo scelto di sfruttare la luce naturale che entrava dalle finestre delle baracche, ricorrendo in poche occasioni a leggere luci led.

Intervistare due persone è complicato, c’è il rischio che le testimonianze si sovrappongano. Per questo motivo ho scelto di intervistarle singolarmente tenendole entrambe in campo: una delle due è in primo piano e la seconda sfuocata sullo sfondo. La sorella sullo sfondo ha lo stesso valore e la stessa importanza di quella che sta portando avanti il racconto.

Una grande importanza è stata accordata ai luoghi, che svolgono un ruolo primario nel narrare.

I luoghi sono parte integrante della sceneggiatura stessa, li abbiamo trattati come fossero a loro volta personaggi, testimoni chiave. Per me i luoghi devono comunicare con la stessa forza delle parole dei testimoni. Riportando Tati e Andra Bucci nei luoghi dell’arresto a Fiume, della detenzione nella Risiera di San Sabba, e del viaggio fino ad Auschwitz, abbiamo calato le due testimoni in un’atmosfera e un percorso che hanno agevolato il racconto. Si tratta di un racconto fortemente legato ai sentimenti, alle emozioni, che quindi ha una forte valenza psicologica, oltre che narrativa. Il tutto è stato fatto sotto la conduzione da parte dell’autore e storico Marcello Pezzetti, che ha sottolineato i momenti chiave del documentario, portandoli sul piano dell’oggettività e del dato storico.

Kinderblock - L'ultimo inganno

Il rischio, quando si parla di Shoah, è quello di cadere in una rappresentazione del dolore retorica. Come si può scongiurare questo pericolo?

Sì, c’è sempre questo pericolo soprattutto se si cerca di fare dell’arte con la Shoah. Arte e Shoah sono un ossimoro e sono per me inconciliabili. La Shoah va rappresentata attraverso il racconto diretto dei sopravvissuti. I testimoni devono poter seguire un percorso ben strutturato, guidati da domande precise rivolte loro all’interno di un ambiente di fiducia e di conoscenza. I sopravvissuti devono poter contare su una importante consapevolezza: il regista e l’autore hanno una conoscenza approfondita sia dei luoghi che della storia trattata.

Sono convinto che il lavoro vada fatto per sottrazione e non per addizione, solo sottraendo si riesce ad arrivare all’essenza del racconto e del dramma umano. Più sottrai e più ti avvicini al buco nero della storia del Novecento, senza artifizi ma con una regia lineare, diretta e sconvolgente nella sua semplicità.

Qual è il valore della Memoria oggi?

Nel corso della loro storia gli ebrei sono stati capaci di creare più volte dei ‘vitelli d’oro’, per me è fondamentale che la memoria non diventi un altro vitello d’oro, qualcosa da musealizzare. Il concetto ebraico di memoria esclude completamente la sacralità dell’evento e quindi esclude il concetto di perdono. Le sorelle Bucci sopravvissute al Kinderblock, pur provando un forte senso di colpa per essere sopravvissute al cugino Sergio, non parlano mai di perdono nei confronti degli assassini del cugino. Nella concezione ebraica il perdono può arrivare esclusivamente dalle vittime e da qui il cortocircuito: Auschwitz si può raccontare soltanto attraverso l’impossibilità del perdono.

Chiara Passoni