“Scream” di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett – Recensione

Scream

A ben 11 anni di distanza da Scream 4 e dopo una breve parentesi seriale, Scream ritorna finalmente sul grande schermo con il quinto capitolo del franchise, omettendo però il numero 5 dal titolo. La scelta è stata ben ponderata: la nuova iterazione della saga di Ghostface, infatti, è diretta dal duo Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, chiamati a sostituire Wes Craven, scomparso ormai da qualche anno. Oltre alle differenze registiche e creative che permeano il film (sebbene lo storico sceneggiatore Kevin Williamson figuri ancora tra i produttori), Scream si istituisce anche come un vero e proprio re-sequel, il risultato di un’ibridazione tra reboot e sequel.

È sintomatico che a definirlo in questo modo sia proprio uno dei personaggi del film, Mindy, la nipote del cinefilo horror Randy Meeks apparso nei capitoli precedenti. Scream rinnova il suo immaginario abbracciando pienamente – come d’altronde ha sempre fatto – la sua natura metacinematografica e la volontà di sovvertire le canonicità tipiche di un certo modo di fare cinema. Se in passato, con il riferimento all’horror, un’operazione di questo tipo non poteva che essere condotta da uno dei maestri del genere, Wes Craven, oggi è chiaro come il discorso si muova in una direzione differente: ad essere sotto esame, qui, non è più l’horror in sé, quanto le strategie comunicative e operative adottate dall’industria hollywoodiana, le quali spesso coinvolgono anche lo spettatore in prima persona.

Scream

Pensiamo al recente Matrix Resurrections, un tentativo pacchiano di rideterminarsi nel presente guardando costantemente al passato, ma senza essere in grado di allontanarsi realmente da derive puramente nostalgiche, dimostrando purtroppo di non avere più niente da dire, nonostante, oggi, Matrix potrebbe ancora raccontare tanto su di noi e sul Reale. Il nuovo Scream prende di mira esattamente queste dinamiche, innervandole nel proprio intreccio e decostruendole dall’interno, come ha (quasi) sempre fatto. Senza filtri di sorta o rimodulazioni eccessive, Scream riparte esattamente dall’inizio, dallo Scream originale, e non poteva non farlo se non dalla stessa sequenza iniziale.

Siamo ancora nella fittizia Woodsboro, una ragazza sola in casa – Tara Carpenter (Jenna Ortega), il riferimento a John Carpenter non viene nascosto perché non c’è alcun motivo per farlo – riceve una telefonata da Ghostface poco prima di subire un’aggressione. È l’inizio del primo Scream, solo che in questo caso vi è una differenza importante, ossia la sopravvivenza della ragazza. La sorella Sam (Melissa Barrera), insieme al fidanzato Richie (Jack Quaid), raggiunge Tara in ospedale dove incontra anche il suo gruppo di amici. Ritornano gli elementi tipici dello slasher, così come della saga: una minaccia assassina irrefrenabile, un gruppo eterogeneo di amici, una protagonista tormentata. Tutti sono consapevoli di tutto, le trame orrorifiche sono già state svelate, il terrificante modus operandi di Ghostface è noto ed è stato reso iconico dagli adattamenti cinematografici dei suoi crimini nella serie di film Stab.

Scream

Ma emerge, di nuovo, uno scarto con il passato: a muovere i fili che tengono insieme gli eventi del film sono imprevedibili connessioni, elementi da rideterminare all’interno di un orizzonte segnico fortemente innervato tra ieri e oggi. Le virtù del riferimento e della citazione trovano qui una forma specifica e contestualizzata, trascendendo ogni forma di mero fan service. Spesso si lamenta, nel caso di remake, prequel, sequel e reboot, una volontà produttiva troppo insistente nel voler appagare lo spettatore nostalgico con costanti strizzatine d’occhio, autoreferenziali e fini a se stesse. In Scream, lo spettatore eccessivamente esigente, quello dei toxic fandom del web, quello dei review bombing, quello dei redditors che credono di avere una qualche forma di diritto creativo sul prodotto audiovisivo, viene schernito e ridotto a macchietta. E in far questo, il villain reale non può che essere l’eroe chiamato ad interrompere questo processo, un novello Michael Myers che desidera porre fine ad una precisa corruzione dello sguardo spettatoriale.

Nonostante qualche inciampo, come nel progressivo ritorno in scena dei membri storici del cast che, in contrasto con tutto il resto, sembra invece perdersi in quella vacuità autoreferenziale che il film vorrebbe sovvertire (cadendo nell’errore dei recenti Halloween di David Gordon Green, come esemplificato specialmente da Halloween Kills), Scream è in ultima analisi un acuto commentario sulle strategie imperanti nella produzione massmediale legata all’intrattenimento visivo, dimostrandosi allo stesso tempo come un film in grado di interfacciarsi pienamente, a modo suo e con le sue regole, con quelle stesse dinamiche.

Daniele Sacchi