L’ultima notte di Amore di Andrea Di Stefano, la recensione

L'ultima notte di Amore

Milano, mafia cinese e ‘ndrangheta. Sono gli ingredienti essenziali scelti da Andrea Di Stefano per il suo L’ultima notte di Amore, un thriller dalle sensibilità noir che guarda in parte al passato (specialmente al Fernando Di Leo di Milano Calibro 9, La mala ordina, Il poliziotto è marcio) per cercare di proporre qualcosa di singolare nel triste panorama cinematografico italiano odierno. Il film, disponibile su Prime Video e su Now, è un buon esperimento per il cinema nostrano, ormai tenuto in piedi soltanto dagli autori più acclamati (Bellocchio, Sorrentino, Garrone e pochi altri).

Ne L’ultima notte di Amore, il prolifico e stacanovista Pierfrancesco Favino interpreta l’agente di polizia Franco Amore, ormai prossimo alla pensione. La moglie Viviana (Linda Caridi) ha preparato una festa a sorpresa per l’occasione, ma nonostante Franco abbia concluso il suo ultimo giorno in servizio, viene improvvisamente richiamato dal suo superiore. Una sparatoria in tangenziale, infatti, ha causato la morte del suo collega Dino (Francesco Di Leva), e Franco viene dunque chiamato immediatamente sul posto. A questo punto, il film ritorna a dieci giorni prima e, con una lunga analessi, si concentra più nello specifico sulle vicende che hanno condotto al tragico evento.

Già a partire dal titolo del suo film, Andrea Di Stefano mette subito in chiaro di star lavorando per antitesi. In superficie, un primo slittamento avviene nel richiamare l’universo delle commedie mucciniane per ribaltarlo immediatamente con le ruvidità del noir e la durezza dell’hard boiled. Più nel dettaglio, Di Stefano mira a scardinare proprio lo sguardo spettatoriale, mettendo in scena diversi apparenti equilibri per poi dedicarsi ad infrangerli uno dopo l’altro. Il punto centrale è il perseguimento di un progressivo cambio di prospettiva che permetterà di reinquadrare l’incipit del film, ma ad essere sottoposti a questo processo decostruttivo sono anche i rapporti umani, a partire dalle dinamiche che legano Franco e Viviana (e che svolgeranno un ruolo fondamentale nel climax del film) sino ad arrivare all’intreccio di matrice più crime che coinvolge l’amico calabrese Cosimo (Antonio Gerardi) e il mondo della criminalità organizzata italiana e cinese.

La colonna sonora di Santi Pulvirenti accompagna le immagini più tensive del film richiamando a tratti le derive argentiane dei Goblin, pur riuscendo a trovare una propria dimensione e un proprio carattere nel sottolineare a dovere la splendida cornice della notte milanese. Le riprese in elicottero dello skyline di Milano, così come la presenza di luoghi riconoscibili come il Duomo, la stazione centrale e in generale lo scenario urbano, sono tutte scelte visive che rendono la città un’effettiva protagonista a sé stante.

Purtroppo, nonostante il contesto ideale per il tono di un racconto come quello de L’ultima notte di Amore, il film viene in ogni caso tenuto a freno dai cliché, dalle soluzioni troppo convenzionali, dalle eccessive lungaggini. Tutto si svolge in una maniera fin troppo semplice e lineare dopo il flashback iniziale, non vi è mai un reale sconvolgimento o urto se non nella scena madre del film. Scena madre che, in particolare, arriva troppo presto, finendo per monopolizzare con il suo setting il resto del film appiattendone la carica espressiva, limitandolo ad una ricerca di un’artificiosa tensione drammatica che, con il passare del tempo, non può che perdere di incisività. A loro volta, il montaggio sonoro claudicante e l’ossessione tutta italiana per l’enfasi dialettale non giocano a favore del film, impedendogli di imporsi come un prodotto sopra la media. I buoni propositi, comunque, ci sono, nella speranza che altre pellicole di genere e nuovi autori possano presto emergere.

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Daniele Sacchi