Le buone stelle – Broker, la recensione del film di Hirokazu Kore-eda

Le buone stelle

Con Le buone stelle – Broker, Hirokazu Kore-eda torna ad affrontare il tema cardine della sua opera cinematografica: la famiglia. In particolar modo, la sua filmografia si interroga su che cosa renda tale una famiglia, su come le esperienze che viviamo e i legami che costruiamo siano capaci di creare ricordi preziosi ed indelebili, capaci di sostenerci nella vita di tutti i giorni.

Dong-soo (Gang Dong-won) è un orfano che ha da sempre prestato servizio presso orfanotrofi e centri di accoglienza per minorenni. Con l’amico Sang-hyeon (Song Kang-oh), lo squattrinato e divorziato titolare di una lavanderia, gestisce un’attività parallela illegale: i due recuperano bambini neonati dalla ruota degli esposti e, dopo aver cancellato le tracce della loro presenza, li rivendono a coppie in cerca di adozioni, saltando così l’iter burocratico. Un ruolo ambiguo, in quanto i due sfruttano un crimine e i soldi per compiere una buona azione. Così facendo, Dong-soo spera di aggirare la paludosa burocrazia necessaria per gli affidi che molto spesso è la causa di fallite adozioni. La loro vita cambia quando la giovane So-young (Lee Ji-eun) torna sui propri passi dopo aver abbandonato il figlio e, tornata per recuperarlo, scopre la macchinazione dei due uomini, unendosi a loro in quanto vede il buono nelle loro intenzioni. Sulle loro tracce, però, la polizia coreana sta svolgendo un’indagine, e il detective Soo-jin (Bae Doo-na) è vicinissima a coglierli con le mani nel sacco.

Con il suo primo film realizzato in Corea del Sud, Kore-eda mette inoltre in mostra uno dei problemi della società coreana che appare tuttavia trasversale ad ogni società contemporanea, quello delle adozioni, raccontato peraltro molto bene nel recente documentario italiano Dear mama di Alice Tomassini, la quale affronta proprio questo tema in chiave nostrana. I bambini ospiti in strutture di accoglienza sono destinati ad una lunga permanenza in questi luoghi. In Italia sono 30.000 minorenni, il personaggio interpretato da Dong-won Gang parla di numeri altrettanto grandi in Corea quando afferma che solo una madre ogni 40 casi torni effettivamente a recuperare un figlio lasciato nella ruota degli esposti. Un problema ubiquo che spinge a riflettere su quale potrebbe essere la causa di tali cifre e tale diffusione.

Sulla scelta del cast de Le buone stelle c’è poco da aggiungere. Song Kang-ho (Parasite, A Taxi Driver) dimostra sempre una grande abilità nel riuscire ad apportare al dramma un solare registro comico, capace di far nascere un sorriso anche nei momenti più difficili, mentre al suo fianco non sfigurano di certo gli altri comprimari, soprattutto la tormentata detective interpretata da Bae Doo-na (Cloud Atlas, The Host).

Un sapore agrodolce avvolge sempre i film di Kore-eda, nonostante la spensieratezza e la gioia che riescono a mettere in scena. La felicità nasce sempre dalla tristezza. Molto spesso i suoi protagonisti vivono situazioni di difficoltà, sono in rotta con la propria famiglia biologica, in fuga da qualcosa, alla ricerca di se stessi. Quello che riescono a costruire non è altro che una parentesi effimera in una vita difficile, fatta di ingiustizie e patimenti. Eppure, per quanto brevi, questi momenti appaiono come il vero motore dei suoi protagonisti, come quell’elemento capace di fornire loro l’energia necessaria per sostenerli nelle lotte quotidiane.

Le buone stelle – Broker, come anche Un affare di famiglia e molti dei film di Kore-eda, è un inno alla gioia, un invito a godersi profondamente e appieno ogni momento felice che condividiamo con le persone a cui vogliamo bene. Perché non possiamo sapere quanto durerà.

Gianluca Tana