Niente di nuovo sul fronte occidentale, la recensione

Niente di nuovo sul fronte occidentale

Tra il finire del 1928 e i primi mesi del 1929, Erich Maria Remarque imprime su carta il sentimento di un’epoca di duri conflitti e tensioni nel suo Niente di nuovo sul fronte occidentale, catturando con una profonda acutezza il dramma e gli orrori della Grande guerra. Il romanzo è un testo fondamentale della letteratura europea del primo Novecento e, proprio per il suo sguardo lucido e attuale, venne subito traslato in film nel 1930 da Lewis Milestone. Quasi un secolo dopo, il regista tedesco Edward Berger ha cercato di offrire la propria versione del racconto di Remarque in un film per Netflix, il terzo adattamento dell’opera se contiamo anche il film per la televisione realizzato nel 1979 da Delbert Mann.

Lo scenario è, come da titolo, quello del fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale. Nella Primavera del 1917, a guerra già inoltrata, il giovane Paul Bäumer (Felix Kammerer) si arruola insieme ai suoi amici nell’esercito tedesco. Inviato a combattere nel Nord della Francia, Paul comprenderà presto che la gioia e il patriottismo che lo hanno spinto ad arruolarsi con vigore sono solamente delle vane illusioni dinanzi alla brutalità e alla vacuità della guerra. In parallelo, i vertici dei due eserciti – rappresentati dal Ministro delle finanze Matthias Erzberger (Daniel Brühl) e dal generale francese Ferdinand Foch (Thibault de Montalembert) – si trovano in una difficoltosa impasse durante le trattative sui termini dell’armistizio.

L’operazione di Berger – il quale figura anche tra gli sceneggiatori del film – è un’indagine sia estetica sia di messaggio, un viaggio di circa due ore e mezza tra la guerra combattuta sul campo e la guerra combattuta invece “dietro le quinte”, con l’obiettivo di mettere in luce le contraddizioni intrinseche di ogni conflitto armato e di individuare allo stesso tempo le dinamiche del potere che si celano dietro agli orrori delle trincee. Per esplorare questi percorsi, il regista tedesco si sofferma da un lato sulle condizioni estreme dei soldati al fronte, impegnati per anni in una lotta insensata per guadagnarsi poche centinaia di metri di trincea, e dall’altro lato sulle macchinazioni politiche.

Da questo punto di vista, Niente di nuovo sul fronte occidentale riesce solo parzialmente a portare a compimento entrambi i suoi propositi, peccando di eccessi da una parte e di didascalismo dall’altra. In particolare, per la maggior parte del film si respira una certa attenzione morbosa nei confronti della messa in scena della morte e del trauma della perdita. Non si cade mai nella pornografia del dolore, però si poteva fare di più nel tratteggiare al meglio le personalità dei giovani soldati protagonisti e le motivazioni che li hanno spinti al fronte, invece di limitarsi ad una passione patriottica mai esplorata, sgretolatasi immediatamente e mai più ripresa.

Non stupisce, infatti, come i momenti maggiormente riusciti del film siano, più che le sequenze di guerra in sé (comunque ben girate, tra campi lunghi evocativi e qualche virtuosismo che ricorda 1917 di Sam Mendes), le situazioni in cui Paul e i suoi compagni si trovano a legare tra di loro, permettendo allo spettatore di sviluppare un minimo di connessione empatica con i personaggi del film. Similmente, per quanto riguarda l’aspetto più strettamente politico, sebbene la cura per i dettagli storici sia evidente, la visione complessiva degli eventi rimane in generale solamente accennata e riportata ai suoi tratti essenziali, impedendo anche in questo senso di creare un contatto forte tra lo spettatore e la vicenda raccontata.

Nonostante le carenze estetiche e narrative, Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger rappresenta comunque un buon tentativo di richiamare l’attenzione – specialmente nell’ottica del burrascoso contesto geopolitico odierno – sull’inutilità dello scontro bellico in ogni sua possibile forma. Abbiamo ancora bisogno, oggi, che il cinema si occupi di questo.

Daniele Sacchi