“Mainstream” di Gia Coppola – Recensione (Venezia 77)

Mainstream

Sette anni dopo Palo Alto (2013), Gia Coppola torna a dirigere un lungometraggio con Mainstream, presentato nella sezione Orizzonti della 77esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. La cornice estetica del film è pienamente radicata nel tessuto del contemporaneo, dalle atmosfere del videoclip – Gia Coppola, ricordiamo, viene anche da questo mondo – sino ad arrivare alle tendenze visuali tipiche dell’ecosistema mediale della rete e in particolar modo di YouTube. Mainstream è un prodotto pienamente figlio della nostra epoca, capace di racchiudere l’esperienza adolescenziale e dei giovani adulti di oggi attraverso un commento sociale che utilizza schemi narrativi semplici per trasmettere il suo messaggio nella maniera più chiara possibile.

In Mainstream abbiamo anche il gradito ritorno di Andrew Garfield, fuori dalle scene da ormai qualche anno e in questa occasione splendidamente in forma e a suo agio nella sua parte. Il personaggio che interpreta nel film, Link, è un ragazzo che vive alla giornata, un individuo che non si cura particolarmente del suo destino o della sua apparenza e che rifiuta apertamente molte delle caratteristiche proprie della nostra società, come possedere uno smartphone. La vera protagonista di Mainstream è però Frankie (Maya Hawke), una barista che sogna di diventare una videomaker. Dopo aver conosciuto per caso Link, i due – aiutati dallo spasimante di Frankie, Jake (Nat Wolff) – cercheranno di avere successo aprendo un canale YouTube basato interamente sulla figura semi-anarchica del ragazzo, che per l’occasione deciderà di scegliersi come nickname Not-So-Special («non così speciale»).

Mainstream

Se dal lato puramente romance Mainstream non offre nulla di particolarmente nuovo nello sviluppo della sua narrazione, dall’altro lato le critiche serrate che muove al “popolo del web” sono molto acute e dirette. Un’arma a doppio taglio, in un certo senso, perché se è vero che il discorso di Gia Coppola sull’ipocrisia di molti influencer di successo, sui costanti tentativi di accrescere i propri followers a qualsiasi costo e sui cambi repentini di opinione da parte del pubblico verso i trending topics del momento è tremendamente sul pezzo, è anche vero che Mainstream rischia di essere un’opera che può avere un senso specifico solamente in questo preciso periodo storico e di perdere progressivamente di significato e di valore con il tempo.

Tuttavia, i suoi guizzi migliori Mainstream li riserva, come già anticipato, nella sua dimensione visuale. I video prodotti da Frankie, Link e Jake vengono mostrati da Gia Coppola attraverso delle vere e proprie cascate di immagini che richiamano le dinamiche e gli stilemi iperdiffusi nei canali più seguiti su YouTube. Da un certo punto di vista, Mainstream stesso potrebbe quasi essere considerato come un video di un’ora e mezza vista la grande mole di sequenze dedicate ad approfondire l’orizzonte simbolico del linguaggio visivo di Internet.

Anche nella costruzione dei rapporti intersoggettivi tra i suoi protagonisti, Gia Coppola – che si è occupata della sceneggiatura del film insieme a Tom Stuart – si trova a realizzare un buon lavoro. Gli unici veri dubbi che rimangono su Mainstream sono sulla tenuta delle sue argomentazioni critiche, sicuramente non aiutata dalla chiusura un po’ frettolosa e retorica dell’opera. Argomentazioni che troviamo incarnate soprattutto nel personaggio ambiguo di Link, che da emblema dell’anticonvenzionale non può che finire per sottomettersi alle regole del successo, pur credendo di posizionarsi dalla parte del giusto nel suo apparente tentativo di piegarle. Mainstream è un’opera pop per un pubblico pop che cerca di mettere in discussione gli stessi elementi che la caratterizzano, muovendosi – un po’ come lo stesso Link – tra la brillantezza e l’ipocrisia.

Le recensioni di Venezia 77.

Daniele Sacchi