“Pieces of a Woman” di Kornél Mundruczó – Recensione (Venezia 77)

Pieces of a Woman

Ricominciare a vivere dopo una grave perdita. Il tema centrale di Pieces of a Woman, in concorso alla 77esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ritorna spesso nelle narrazioni di ogni medium e genere, segno di come l’essere umano sia sempre in costante ricerca di qualcosa che possa in qualche modo spiegare come convivere con il dolore, imparare ad accettarlo e in futuro ambire a superarlo. È un tema che ci riguarda tutti, ma che ognuno vive a modo suo, condividendo il suo dolore con gli altri o tenendolo dentro di sé. Il film diretto dal regista ungherese Kornél Mundruczó e sceneggiato dalla compagna Kata Wéber, basato su un’opera teatrale realizzata sempre dalla coppia, ci mostra in tal senso uno dei tanti modi attraverso i quali l’essere umano reagisce al trauma della perdita, nell’affrontare il dolore e la sofferenza dell’animo, facendoci entrare in diretto contatto anche con l’esperienza stessa della perdita.

Al centro della trama del film troviamo una coppia, Martha (Vanessa Kirby) e Sean (Shia LaBeouf), in attesa della loro prima figlia. La bambina, purtroppo, perde tragicamente la vita durante un parto in casa andato male, mentre l’ostetrica Eve (Molly Parker) viene accusata di non aver svolto correttamente il suo lavoro e di non aver chiamato l’ambulanza in tempo. Martha e Sean si troveranno, nei mesi successivi alla morte della figlia, a cercare di ricostruire il loro rapporto, lacerato da una ferita che sembra purtroppo indelebile. Conflitti interiori, parole dette e non dette, l’incapacità di trovare nell’altro una fonte affidabile per poter estinguere il dolore: Pieces of a Woman ci mostra davvero i “frammenti” di una donna, di Martha, nel suo disperato tentativo di ricomporre qualcosa che, forse, non può essere ristabilito.

Pieces of a Woman

Purtroppo, né Mundruczó dal lato della regia né Weber per quanto riguarda invece la sceneggiatura si dimostrano in grado di saper trovare un buon equilibrio e un ritmo adeguato nel racconto e nella sua rappresentazione. Pieces of a Woman è un’opera che concentra tutto il suo potenziale espressivo nell’evento traumatico che apre il film, fallendo poi nell’esplorazione del suo tema portante. Chiariamoci, l’incipit di Pieces of a Woman è uno splendido trattato sulla sofferenza dell’essere umano, un lungo piano sequenza tremendamente efficace, di forte impatto e da tachicardia pura, complici anche le grandi interpretazioni del cast. Successivamente però, il vuoto. Interrotto ogni tanto da qualche buona intuizione, come nel caso del toccante monologo pronunciato dal personaggio di Ellen Burstyn.

Dopo la sua sorprendente sequenza iniziale, Pieces of a Woman avvia il suo discorso sul trauma della perdita in maniera eccessivamente didascalica e approssimativa, reiterando in alcuni casi le stesse considerazioni e non proponendo mai dei veri e propri punti di svolta efficaci, perdendosi anche in qualche banalità di troppo (pensiamo ad esempio al ruolo dell’avvocato di Martha nell’economia della storia). Perlomeno, il film di Kornél Mundruczó ci regala un’interpretazione straordinaria di Vanessa Kirby, che tiene in piedi da sola un’opera molto traballante. Il regista ungherese riconferma in ogni caso il suo talento, ma lo fa tra alti (pochi) e bassi (molti), lasciandoci ancora in attesa di una sua reale affermazione.

Le recensioni di Venezia 77.

Daniele Sacchi