“Mona Lisa and the Blood Moon” di Ana Lily Amirpour – Recensione (Venezia 78)

Mona Lisa and the Blood Moon

«Dimentica ciò che sai». Il messaggio contenuto nel biscotto della fortuna aperto dall’agente Harold (Craig Robinson) è un monito chiaro e semplice. Eppure l’agente cercherà a tutti i costi di risolvere il mistero dietro alla imperscrutabile figura di Mona Lisa, interpretata da una bravissima Jeon Jong-seo (che abbiamo già visto nel favoloso Burning di Lee Chang-dong). La giovane protagonista di Mona Lisa and the Blood Moon, infatti, è dotata di particolari poteri psichici che le permettono di impossessare a distanza le persone grazie al movimento delle mani, guidando le loro azioni contro la loro volontà come se fossero delle marionette. Nella sequenza di apertura la vediamo rinchiusa in un manicomio, ma riuscirà presto a fuggire verso New Orleans, intenzionata a scoprire il mondo e a cercare di sopravvivere.

Dopo le suggestioni vampiriche e ipnotiche di A Girl Walks Home Alone at Night e la distopia patinata e pulp di The Bad Batch, Ana Lily Amirpour realizza con Mona Lisa and the Blood Moon il suo film migliore, capace di superare le incertezze del debutto e le derive caotiche della sua opera seconda. Amirpour trova finalmente una dimensione ottimale per sviluppare a dovere la sua visione estetica, riuscendo a presentarci un film incredibilmente omogeneo da un punto di vista strutturale, nonostante sia di fatto un pastiche che passa costantemente da un mood all’altro, muovendosi dall’urban fantasy alla commedia, dall’horror al dramma sociale.

Mona Lisa and the Blood Moon

Mona Lisa and the Blood Moon è un viaggio alla scoperta di un mondo. Osserviamo Mona Lisa, prigioniera sin da quando era bambina, entrare in contatto con i variegati personaggi della New Orleans notturna, mentre un sottofondo musicale che oscilla tra brani metal e le composizioni di musica elettronica di Daniele Luppi ci accompagna per tutto il film. È un’esperienza sensoriale quella organizzata per noi dalla regista statunitense di origini iraniane, un assalto percettivo che parte dall’esplosione di violenza dell’incipit sino ad arrivare all’esibizione corporea del nightclub in cui lavora la spogliarellista Bonnie Belle (interpretata da Kate Hudson).

Nel rapporto tra Mona Lisa e il mondo che la circonda, Amirpour vuole reinsegnarci a guardare le cose. «Dimentica ciò che sai», dicevamo, un consiglio che la regista sembra suggerirci di mettere in pratica a nostra volta. La stessa Bonnie, grazie all’incontro con Mona Lisa, si lascia trascinare dalla voglia di libertà della ragazza per sfogare un sentimento anarchico e anti-machista, con il denaro che sembra darsi come strumento di compensazione privilegiato per dare una svolta alla sua vita. Esagerare, però, può fare ancora male: lo sa bene proprio Bonnie, la cui volontà coercitiva nei confronti di Mona Lisa finirà per inasprire il rapporto già compromesso con il figlio Charlie. Anche in questo caso, il ruolo della giovane e “demoniaca” ragazza coreana sarà fondamentale per ricostruire ciò che sembra essere ormai perduto. Un lavoro maturo, insomma, Mona Lisa and the Blood Moon, che riconferma il grande talento espressivo di Ana Lily Amirpour.

Le recensioni di Venezia 78

Daniele Sacchi