Navalny, la recensione del folgorante documentario di Daniel Roher

Navalny

Navalny non è un documentario su Alexei Navalny. No, è proprio il documentario su Alexei Navalny e sulla sua lunga ordalia, un resoconto diretto e accurato dei mesi successivi all’avvelenamento subito nell’agosto 2020. Il regista canadese Daniel Roher ha infatti seguito in prima persona, da vicinissimo, gli sviluppi post trasferimento di Navalny dalla Russia in Germania, luogo dove il coraggioso oppositore del regime putiniano è riuscito miracolosamente a fare luce su quanto gli è accaduto.

Il suo ufficio sembra quello di un investigatore, con tanto di foto dei suoi presunti assalitori appese su una lavagna, i fili immancabilmente tesi a tracciarne le relazioni e gli spostamenti. È come un film hollywoodiano, lo dice Navalny stesso, ma in realtà è tutto vero. Aiutato dal giornalista Christo Grozev, Navalny ricostruisce tutti gli eventi che hanno condotto al suo avvelenamento – apparentemente già deciso tre anni prima del suo effettivo svolgimento – individuandone protagonisti e movimenti.

Navalny

Persino le specificità del tentato omicidio di Navalny si rivestono di una coltre bondiana. In tal senso, la ciliegina sulla torta è lo smascheramento di uno dei villain, effettuato da Navalny stesso con una telefonata in cui si finge un funzionario del FSB (il servizio di sicurezza russo) per interrogare il chimico Konstantin Kudryavtsev proprio sulle circostanze circa l’avvelenamento.

La regia del documentario è estremamente funzionale al girato, ricca di pathos nei momenti più concitati del film (dallo sviluppo dell’indagine sino al turbolento rientro in patria di Navalny), più intima e pacata nei segmenti dedicati a sviscerare la personalità dell’uomo e la sua vita famigliare nel nuovo contesto post-avvelenamento.

Navalny

Il focus sul quadro famigliare non è una semplice divagazione ma una componente fondamentale per approfondire a dovere la figura di Navalny, molto diversa da quella della moglie Yulia Navalnaya. In un siparietto, ad esempio, vediamo Yulia asserire di apprezzare gli scacchi, mentre Alexei «preferisce Call of Duty». Una mattina, i due nutrono un asinello e un pony, e al ritorno ponderano se prendere o meno una mela da un albero.

La giustapposizione tra la spensieratezza e la spontaneità famigliare con il fervente impegno politico di entrambi e la conseguente ricerca della verità costituisce un tratto essenziale del documentario di Daniel Roher. È un monito vero e proprio, una richiesta ad osservare la differenza tra la possibilità di una vita normale in uno Stato non autoritario con il suo completo opposto. E nonostante tutto ciò, Navalny e famiglia decidono per la seconda opzione, perché è necessario che sia così, perché, come dice lui stesso in chiusura rivolgendosi direttamente al popolo russo, non è concesso arrendersi. «L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che i buoni non facciano nulla: quindi non siate passivi».

Daniele Sacchi