Pearl di Ti West, la recensione del film (Venezia 79)

Pearl

X – A Sexy Horror Story ha fatto conoscere Ti West al pubblico di tutto il mondo (pochi in verità in Italia, visto il passaggio nelle sale limitato), sebbene dietro i piacevoli riferimenti all’horror 70s e al cinema erotico si celasse uno slasher poco ispirato. Gli appassionati già lo apprezzavano per film come The House Of the Devil e The Sacrament, ma ora con il nuovo Pearl il regista statunitense è riuscito a portare la propria visione del genere ad un buon livello espressivo, realizzando quello che è senza ombra di dubbio il suo film migliore.

Pearl è, di fatto, un prequel di X che regala al film precedente – a posteriori – qualche chiave di lettura in più su quella che si presentava come la villain dell’opera. Qui, infatti, Pearl è la protagonista di una commedia horror che cerca di fare luce sulle origini delle sue pulsioni incontrollate (che già avevamo avuto modo di osservare nel dettaglio in X). Il tono tuttavia è completamente diverso: nonostante X giocasse molto con l’ironia e con il grottesco in diverse situazioni, in Pearl tutto viene portato all’estremo in una assurda escalation di orrore e delirio, ed il merito è tutto dell’interpretazione eccezionale di Mia Goth, la quale figura anche come co-sceneggiatrice del film insieme al regista.

Lo scenario consiste nell’America rurale durante gli anni della prima guerra mondiale e più precisamente ci troviamo nella stessa fattoria isolata al centro delle vicende di X. Pearl vive con i genitori in attesa del ritorno dalla guerra del giovane marito Howard, mentre sogna di trasferirsi in Europa e di diventare una ballerina. La severità e l’inflessibilità della madre, insieme alla necessità di prestare costanti cure al padre a causa della sua infermità, frenano però Pearl, con la ragazza che dovrà dunque trovare un modo per uscire dalla sua limitante situazione familiare.

All’interno di questo contesto che esalta la ricerca di una propria voce e che crede nella fuga da una realtà opprimente, Ti West ha l’ottima idea di inserire un elemento fondamentale per lo sviluppo dei desideri della ragazza: l’incontro con la meraviglia del cinematografo. L’estasi nel vedere le ballerine sullo schermo e, in seguito, l’entrare in contatto fisico con la materia tattile della pellicola costituiscono l’ultima spinta per Pearl nel convincerla a cercare di realizzare finalmente i suoi sogni. Grazie al ricorso ad un’estetica vivida e colorata, Ti West gioca di continui ribaltamenti di aspettative e di prospettive, richiamando in alcuni casi elementi conosciuti (come il coccodrillo di X) e in altri casi subentrando in territori espressivi nuovi, specialmente per quanto riguarda l’analisi del rapporto burrascoso tra Pearl e la madre.

Mia Goth, che nel precedente film oltre ad interpretare la giovane Maxine era anche presente in un doppio ruolo nei panni dell’anziana Pearl, è calata perfettamente nella parte e appare qui come il vero fulcro e motore dell’intera operazione. Oltre a mescolare continuamente i piani del comico e del drammatico, l’attrice britannica buca lo schermo per tutta la durata del film, giungendo a sublimare la propria interpretazione sopra le righe – ma sempre credibile – in un intensissimo monologo in piano sequenza che, insieme all’eccentrica chiusura durante i titoli di coda, impreziosisce ancora di più un film già brillante di suo.

Le recensioni di Venezia 79

Daniele Sacchi