Stereo di David Cronenberg, la recensione

Stereo

Un inizio di carriera atipico e singolare è quello che, con il senno di poi, ci si poteva assolutamente aspettare da un autore imprevedibile e visionario come David Cronenberg. Stereo (Tile 3B of a CAEE Educational Mosaic), il primo lungometraggio del regista canadese, è infatti una sorta di mockumentary sperimentale semi-parodico dei film educativi sulla sessualità, girato in bianco e nero e privo di una traccia audio diegetica a causa dei rumori eccessivi prodotti dalla macchina da presa di Cronenberg durante la realizzazione del film.

Le uniche incursioni del sonoro avvengono attraverso alcuni commenti relativi alle teorie pseudo-scientifiche di uno scienziato, il dottor Stringfellow della Canadian Academy for Erotic Enquiry. I protagonisti della pellicola sono sette individui che si sono sottoposti volontariamente ad uno degli esperimenti del dottor Stringfellow, il quale avrebbe rimosso loro la parte del cervello relativa al linguaggio per favorire invece l’emergere di abilità telepatiche. L’obiettivo dello scienziato consiste nello stimolare diverse interazioni sessuali tra le sue cavie, nella speranza di superare i modelli tradizionali e plasmare nuovi stati di coscienza.

Stereo contiene in potenza tutto il Cronenberg successivo, da Scanners a eXistenZ, da Videodrome a Il pasto nudo, tra connessioni impreviste, mutamenti improvvisi e poetica della carne. Nonostante la natura amatoriale del film (l’assenza del sonoro non gioca a suo favore) e lo stile alienante, Stereo propone già una chiave di lettura del Reale che prende le mosse dalla manifestazione di una precisa carica libidica, eccessiva, multiforme, sì osservata ma incontrollata, per passare poi ad un’estremizzazione perversa del soggetto, mettendo in scena le sue feroci crisi e i suoi punti di rottura. L’esperimento deteriora presto in una spirale discendente, disorientata e disorientante, delle corporeità senza freni dei suoi protagonisti, rilevando l’inevitabile scontro tra le presunte attività sessuali “liberatorie” e la fragilità della loro psiche.

Telepatia – quindi tentativo di controllo mentale – e desiderio sessuale sono dunque per Cronenberg due facce di una stessa medaglia, due manifestazioni del potere che in realtà contengono ossimoricamente l’impossibilità di un loro esercizio effettivo (un discorso che tornerà, con vigore e in forma molto diversa, proprio ne Il pasto nudo). La struttura formale che delimita il rappresentato rafforza questo concetto. In Stereo, tutto è documentato e “scientifico”. L’esperimento è parte di un progetto con uno scopo. Il commentario che accompagna le immagini del film è tecnico ed impersonale. La parvenza della sussistenza di un’azione di potere e di controllo è forte, nonostante le vicende del film prendano presto una direzione che scardina operativamente l’illusione dell’ordine e del rigore.

Stereo è tutto fuorché un buon film, ma nell’ottica di un’archeologia del cinema cronenberghiano non può non essere valutato come un esperimento nel complesso interessante insieme ai primi cortometraggi di Cronenberg, lo psicanalitico Transfer e il surreale From the Drain, aprendo la via a tutto il resto.

Daniele Sacchi