“La stanza” di Stefano Lodovichi – Recensione

La stanza

Uscito nella prima settimana del 2021, La stanza, terzo film di Stefano Lodovichi, rappresenta un promettente inizio di stagione per quello che si prospetta come un anno fondamentale per il futuro della cinematografia nazionale.

In una vecchia ed enorme casa a picco sul mare una donna sta per suicidarsi, è in piedi sul cornicione della finestra, la pioggia bagna il suo vestito da sposa appiccicandolo alla pelle. Il suo intento suicida viene però interrotto dal suono del campanello. Alla porta, un uomo che afferma di aver prenotato una stanza nel suo bed and breakfast. Nonostante la reticenza iniziale, Stella (Camilla Filippi) lascia entrare Giulio (Guido Caprino) in casa sua e ben presto vengono raggiunti da Sandro (Edoardo Pesce), il fedifrago marito di Stella. Come in ogni horror che si rispetti, però, Giulio nasconde molti segreti: attraverso la forza e la violenza costringerà la coppia ad affrontare i loro scheletri nell’armadio, in una terrificante e violenta terapia di coppia.

La passione per il cinema del regista permea la pellicola emergendo in numerosi richiami che rendono evidenti le sue ispirazioni. La figura di Stella è infatti debitrice al personaggio interpretato da Kirsten Dunst nel film Melancholia di Lars von Trier. Non solo indossano un simile vestito da sposa, reso quasi trasparente dall’acqua, ma sono anche entrambe due donne profondamente depresse, sull’orlo del suicidio e con delle famiglie disfunzionali e devastate. La situazione in cui i personaggi sono inseriti, costretti con la forza in uno spazio chiuso a rivivere i propri errori, posiziona il film a metà strada tra Carnage di Roman Polański e Funny Games di Michael Haneke. Il regista riesce a creare un collage cinematografico interessante e avvincente che, operando su più livelli narrativi, riesce a far dubitare lo spettatore di ciò che sta osservando.

La stanza

È vero quello che sta succedendo o è un delirio di Stella, che in punto di uccidersi vuole commettere un omicidio/suicidio portando il figlio con sé? O forse, ancora, è tutta un’elaborazione della scoperta dell’infedeltà del marito che si svolge nella sua testa? Stella impara ad accettare un figlio problematico e solo dopo questo fatto l’orco spaventoso può sparire, mentre allo stesso tempo il figlio è la causa della “morte” della figura paterna, il superamento dell’abbondono e la possibilità di ritornare ad una vita famigliare fatta da un nuovo nucleo di due soli componenti. Certo, La stanza non è un film perfetto, in alcuni punti la storia sembra vacillare, soprattutto quando cerca di spiegare troppo, indebolendo la sua capacità interpretativa a favore di una dimensione fantascientifica meno interessante e anche un po’ scontata, ma le performance dei tre attori riescono a non far notare troppo questi inciampi. Filippi e Pesce portano sullo schermo due personaggi incapaci di realizzare il terrore in cui sono sprofondati, ma è soprattutto il villain di Guido Caprino a coinvolgere il pubblico, oscillando come un pendolo tra un’apparente e cordiale pacatezza e una follia fisica e ostentata, merito anche dell’ottima caratterizzazione del suo personaggio. Notevole, infine, l’edificio in cui si svolge la vicenda: uno spazio a cavallo tra la realtà e l’onirico, una casa a strapiombo sul mare, malmessa e trascurata, metafora perfetta delle relazioni di Stella.

La stanza è un buon prodotto a basso budget, che forse sarebbe risultato ancora più coinvolgente nel buio di una sala cinematografica, ma che inaugura al meglio la stagione cinematografica italiana.

Gianluca Tana