Tár, la recensione del film di Todd Field (Venezia 79)

Tár

A sedici anni dalla sua ultima fatica, l’acclamato Little Children, Todd Field ritorna dietro alla macchina da presa con il monumentale Tár, il risultato di un notevole sforzo artistico e creativo che arriva dopo diverso (troppo) tempo trascorso nel limbo delle produzioni saltate o lasciate a metà. Il regista statunitense approda dunque al Lido di Venezia in concorso all’interno della cornice della Mostra internazionale d’arte cinematografica con un film complesso e stratificato, interamente costruito sulla figura di Cate Blanchett.

La poliedrica attrice australiana interpreta la fittizia direttrice d’orchestra Lydia Tár, considerata come una delle più grandi compositrici del mondo e, soprattutto, la prima donna a dirigere diverse orchestre di rilievo, tra cui quella di Berlino. Lo stesso Todd Field ha dichiarato di aver pensato a Cate Blanchett nel ruolo della protagonista sin dalla primissima concezione del film, il quale probabilmente non avrebbe visto la luce senza la sua partecipazione. A tal proposito, è inutile negarlo: Cate Blanchett è la vera e propria forza trainante di Tár, la conduttrice – letterale e figurata – di un’opera estremamente calata nella contemporaneità, per i temi che affronta e per il modo con cui lo fa.

Todd Field si getta a capofitto tra alcuni dei temi più caldi di oggi, soffermandosi in particolar modo sul ricorso ormai sempre più frequente alla cosiddetta cancel culture, dissezionandola da diversi punti di vista ma prendendosi il tempo necessario per sviluppare a dovere i propri percorsi narrativi. I ritmi del cinema di Field non sono mai stati particolarmente sostenuti e Tár non fa eccezione, dilatando la narrazione ancora di più rispetto al passato in modo da permettere allo spettatore di entrare in stretto ed intimo contatto non solo con le parole pronunciate da Lydia Tár, ma anche con la sua corporeità e gestualità, così da istituire una connessione fondativa con il personaggio e permettere di intuirne progressivamente le scelte, le emozioni, i pensieri.

Se in Little Children e prima ancora in In the Bedroom il fulcro centrale erano le peculiarità e le criticità della middle class, qui invece l’attenzione viene spostata interamente su una personalità di grande rilievo internazionale. Dopo aver fatto la conoscenza del personaggio di Lydia Tár in una lunga e dettagliata sequenza iniziale, un’intervista che illustra la carriera della direttrice d’orchestra mettendo a fuoco il suo carattere forte, sicuro e tendente al controllo, Todd Field inizia a fondere studio del personaggio e commento sociale, esaminando dinamiche di potere e fenomeni come l’anticipata cancel culture o l’influenza dei social. Si tratta di discorsi dal carattere duale che ritornano a più riprese nel corso del film, da un lato muovendosi verso la ridicolizzazione di alcune nuove tendenze (la lezione alla Juillard ne è un chiaro esempio) e dall’altro sottolineando invece le evidenti contraddizioni che determinano invece le tendenze dominanti.

Si è ben oltre lo scontro generazionale: il campo di battaglia reale è quello del potere e della sua affermazione, tra continui abusi, manipolazioni e gaslighting. E in tutto ciò, la domanda principale del film permane persino dopo la sua conclusione: è possibile valutare un artista e la sua produzione indipendentemente dalle sue azioni personali non legate alla sfera creativa? La sardonica parentesi conclusiva di Tár sembra tracciare una possibile via, ma il dibattito resta aperto.

Le recensioni di Venezia 79

Daniele Sacchi