“The Whispering Star” di Sion Sono – Recensione

The Whispering Star

Il poliedrico Sion Sono torna a riflettere dopo Himizu (2011) e The Land of Hope (2012) sulle conseguenze del terremoto di Tōhoku del marzo 2011 e del successivo tsunami, causa del disastro nucleare di Fukushima Dai-ichi. The Whispering Star (2015), film che il prolifico regista giapponese aveva intenzione di realizzare sin dagli anni ’90, carica la propria idea originaria di nuove sfumature di significato, seguendo una precisa intenzione artistica che vede nella figura dell’autore la necessità imperativa di indagare gli effetti di una tragedia di questo tipo sull’umanità.

The Whispering Star si propone così come un’opera meditativa, ben lontana dalla crudezza viscerale di alcuni dei più grandi successi di Sion Sono come Suicide Club (2001) o Strange Circus (2005), ricordando a tratti le composizioni visive intrinsecamente legate alla dimensione spirituale di Andrej Tarkovskij e l’esplorazione del dramma tipica di un certo cinema orientale, come ad esempio Eureka (2000) di Shinji Aoyama. Sion Sono racconta la storia di Yoko (interpretata da Megumi Kagurazaka, attrice e compagna del regista), androide umanoide il cui compito consiste nel consegnare dei pacchi all’umanità sparsa per la galassia. In qualità di fattorino interstellare, Yoko conduce un’esistenza solitaria sulla propria navicella spaziale, accompagnata solamente dall’intelligenza artificiale di bordo che si occupa di pilotare il mezzo.

L’umanità è frammentata e distante, potrebbe ricorrere alle nuove frontiere tecnologiche (come il teletrasporto) ma preferisce invece ricevere i ricordi del proprio passato attraverso un metodo tradizionale, ormai antico, che richiama la dimensione del contatto e dell’incontro con l’alterità. In tal senso, è interessante notare come la protagonista del film sia, controintuitivamente, un robot che di umano sembrerebbe possedere solo le fattezze. In realtà, a modo suo, Yoko incarna il significato intrinseco dell’essere umano. A Sion Sono non interessa infatti, per così dire, la natura biologica dell’entità, ma l’insieme di scelte e gesti che riesce ad attuare e veicolare.

The Whispering Star

The Whispering Star, di fatto, ci mostra il percorso di comprensione di Yoko nei confronti del valore dell’umanità – all’interno del suo personale processo di scoperta del perché il suo ruolo, in qualità di messo interspaziale di ricordi, è fondamentale – e, in parallelo, richiama il disastro di Fukushima nel rappresentare la parcellizzazione dell’essere umano. Il film di Sion Sono è permeato da una profonda speranza verso il futuro, al di là di ogni tragedia immaginabile. In una sequenza estremamente importante del film, infatti, vediamo Yoko camminare in un corridoio di shōji, le tradizionali porte scorrevoli giapponesi, dietro le quali è possibile intravedere numerose ombre interagire tra loro in un quasi perfetto silenzio. Sulla whispering star, la stella sussurrante, non è infatti possibile fare alcun rumore superiore ai 30 decibel per non mettere in pericolo la gente che vi abita.

Sion Sono vuole così non solo riscoprire la virtù del silenzio, come d’altronde il film suggerisce in diverse occasioni narrativamente – basti pensare alla ribellione di Yoko nei confronti dell’intelligenza artificiale a comando della navicella, rea di ripetere continuamente le proprie istruzioni dense di vacui tecnicismi –  e stilisticamente, ma anche riflettere sulla fragilità dell’uomo nel suo complesso. «Vi è una certa intangibilità e fragilità nelle nostre vite, come nelle ombre», e le perdite causate dal terremoto di Tōhoku «reiterano la natura transitoria, simile alle ombre, della nostra esistenza» (cfr.).

Le manifestazioni quasi spettrali delle ombre dietro agli shoji assumono così i tratti di una metafora sulla delicata precarietà dell’esistenza umana, riscoprendo però allo stesso tempo le virtù della vicinanza e del contatto, in un mondo dove anche una cosa elementare, come il suono di una lattina calpestata per strada, può produrre un’insolita emozione. The Whispering Star è un vero e proprio viaggio di riscoperta umana: un’esplorazione sottile ma estremamente potente, affrontata da un punto di vista singolare che vede nel setting fantascientifico un’occasione preziosa per rileggere la nostra realtà.

Daniele Sacchi