Watcher, la recensione del thriller di Chloe Okuno

Watcher

Guardare ed essere guardati, l’ambivalenza di due movimenti non necessariamente contrapposti che strutturano l’enigma della visione. Si tratta dell’incontro/scontro fondamentale di Watcher, il thriller d’esordio di Chloe Okuno che mescola l’indagine hitchcockiana de La finestra sul cortile con le criticità del contemporaneo, tra stalker, paranoia e alienazione. Quali sono i limiti – reali o immaginari – nell’entrare in contatto e nell’interfacciarsi con l’alterità? Fin dove può spingersi l’ossessione dello sguardo?

In Watcher, la giovane coppia composta dall’americana Julia (Maika Monroe) e dal marito di origini rumene Francis (Karl Glusman) si è appena trasferita a Bucarest. Francis ha accettato una proposta lavorativa che lo tiene lontano da casa per la maggior parte della giornata, lasciando Julia a trascorrere la sua nuova vita in solitudine e in continua attesa. Le difficoltà – anche linguistiche – nell’adattarsi al contesto rumeno sono però solamente una parte dello sconforto provato da Julia: le brutali azioni di un efferato serial killer in città che prende di mira solamente le donne, così come la presenza di una figura quasi spettrale di un uomo nell’edificio di fronte che sembra costantemente osservarla, trascineranno la donna in un profondo disagio esistenziale.

Il film di Chloe Okuno si muove per suggestioni sicuramente non nuove, già solcate in lungo e in largo nell’immaginario offerto dai cosiddetti thriller psicologici, ma dimostra in più occasioni di avere una piena coscienza della materia trattata e dell’immagine cinematografica, evitando pertanto di apparire come banale o scontato nonostante la linearità del racconto. L’intrigo di Watcher non appassiona tanto per il suo sviluppo, quanto per il suo studio sulle potenzialità dello sguardo, sul rapporto tra la visione e la realtà e, più specificamente, sulle modalità attraverso le quali il Reale stesso viene interpretato.

Le finestre dell’appartamento di Watcher, in tal senso, sono barriere dello sguardo che permettono – o che allo stesso tempo impediscono, a seconda dei punti di vista – di plasmare una certa visione del mondo che ci circonda, specialmente quando l’accesso a quel mondo ci è in qualche modo impedito. Julia è isolata e alienata in una realtà che ancora non le appartiene, abbandonata dall’unica persona che può supportarla, obbligata a vagabondare in un Reale che, di fatto, le è Altro. In questo contesto, le possibilità del disguido e dell’incomprensione si annidano impetuose tra le pieghe dello sguardo, perché i “normali” codici interpretativi del mondo vengono costantemente a mancare.

Per questo, esattamente come accade anche nel recente Barbarian di Zach Cregger, Watcher si getta a capofitto nel contemporaneo mettendo in scena la sussistenza di un ideale intuito femminile in grado di separare il proprio voyeurismo inteso come chiave di accesso al Reale da un voyeurismo invece tossico e puramente fallocratico. Nonostante Watcher sia forse troppo imbrigliato tra gli stereotipi classici del genere di riferimento, il commento sociale di Chloe Okuno è acuto e perfettamente in linea con il registro stilistico adottato, risultando in un film intrigante per quanto inevitabilmente semplice alla sua base.

Daniele Sacchi