Wilderness di Doug Aitken, la recensione

Wilderness

Wilderness è una video installazione realizzata dall’artista statunitense Doug Aitken, un mélange visivo di immagini e suggestioni dove, tra cinema e videoarte, corporeità e natura convergono. L’opera di Aitken riempie la propria proposta visuale con un canto digitale generato da un’intelligenza artificiale, istituendo una connessione ossimorica – ma ben orchestrata – tra distorsioni vocali, ruvide e granitiche, e la sensibilità del messaggio che le permea.

Wilderness si apre con un quesito («Hai visto il sole sorgere?») che conduce lo spettatore in un vero e proprio viaggio all’interno di un inconscio condiviso, la cui fonte essenziale è un gruppo di persone su una spiaggia. Doug Aitken propone una poetica del volto e della gestualità in stretta continuità (e anche in contrasto) con i suoni e le immagini evocative della natura, tra giorno e notte, tra i rumori delle onde e il canto extradiegetico che riveste – e investe – l’opera con il suo impeto e con il suo vigore.

In un contesto del genere, dagli orizzonti mistici e contemplativi, Aitken indugia però sullo scontro – mai suggerito realmente come tale ma inevitabilmente presente – tra tecnologia e natura, in particolare insistendo sul voler riempire l’immagine con gli schermi degli smartphone. La ripresa della natura, dei cieli, del sole, diventa così uno spettacolo a sua volta, uno spettacolo digitale che però non permette una reale cattura dell’immagine: così come gli schermi diventano un tutt’uno con l’immagine, allo stesso tempo la datità reale si rende impossibile da incapsulare nello spazio limitante dello smartphone se non nelle sue ondate di luce e di colore.

Il potere quasi taumaturgico del sole e l’immensa vastità dell’oceano si presentano così come entità irriducibili ad una traduzione completa in un’immagine digitale e “tecnologizzata”, nonostante l’operazione complessiva di Wilderness, nel suo voler tematizzare tale impossibilità, sia esattamente la messa in atto di questo processo. Aitken sembra consapevole di questa tensione onnipervasiva, orchestrando a sua volta un cortocircuito dell’immagine filmica mettendo in scena una moltiplicazione e reiterazione dell’immagine che altera la spazialità dello schermo (o degli schermi, essendo Wilderness prima di tutto una video installazione multischermo) e rivelando ulteriormente la macchina-cinema, il dispositivo che risiede al di là dell’immagine stessa.

In tutto ciò, Wilderness tocca anche la questione ecologica, già dal titolo stesso dell’opera che si riferisce esplicitamente all’idea di una natura incontaminata, ancora non plagiata dall’intervento umano e dalle implicazioni che derivano da questa inevitabile interazione. Con una notevole sensibilità artistica, Doug Aitken dunque interroga, prima ancora dello spettatore, il visivo e l’atto stesso di vedere, veicolando in seguito – e come conseguenza inevitabile – problematiche dalla natura più pragmatica che si riferiscono più strettamente al rapporto effettivo tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda.

Daniele Sacchi