Blonde di Andrew Dominik, la recensione

Blonde

Blonde è da poco uscito sugli schermi di Netflix ed è già diventato un caso mediatico. Il film di Andrew Dominik è stato accusato di essere misogino, uno sfruttamento “necrofilo” dell’immagine di Marilyn Monroe ed è attualmente al centro di una tempesta di critiche negative. Il film ha senza dubbio il pregio di essere interessante, ma purtroppo si inserisce nel solco di quei film Netflix – come Malcolm & Marie – che credono di essere opere autoriali pur essendo soltanto vuoti esercizi di stile, a tratti presuntuosi e incapaci di dialogare col materiale di cui vorrebbero trattare.

L’idea di Dominik è quella di «scomporre in mille pezzi» il corpo di Marilyn con il suo film. Si parte dalla traumatica infanzia di Norma Jeane (Ana de Armas) con la madre malata di mente, i primi anni di carriera, il ménage à trois con Charlie Cass Chaplin e con Edward G. Robinson Jr., la nascita del personaggio Marylin Monroe, il matrimonio con Joe DiMaggio, gli aborti, fino agli ultimi autodistruttivi anni di dipendenza dalle droghe.

Blonde avanza a balzi temporali e il regista si sbizzarrisce nella sperimentazione, lavora sul colore, sul formato di ripresa, sul POV e sulle deformazioni corporali. Pur non avendo una vera motivazione che giustifichi la scelta di queste elaborazioni, a tratti il film riesce a trovare delle soluzioni grafiche affascinanti e che avrebbero meritato approfondimento. Il più grande difetto di Blonde è che, nonostante si presenti come un omaggio ad un’icona femminista come Marylin Monroe, sembra non avere alcun rispetto (o conoscenza) della carriera di questa.

I suoi film, il suo lascito, sono trattati come materia secondaria accessoria alla narrazione della sua traumatica vita e non come una componente fondamentale di questa. Il ritratto che ne esce è quello di una donna incapace di trovare una propria identità se non in funzione dei traumi subiti o delle figure maschili nella sua vita. Un peccato, perché ci si scorda di commentare come, nonostante abbia lavorato sicuramente in un ambiente misogino e abbia probabilmente subito molestie nella sua vita, Marilyn Monroe sia comunque riuscita a diventare un’icona molto apprezzata non soltanto per la sua presenza fisica, ma anche per le sue capacità di attrice. Con sguardo miope, Dominik non riesce a vedere al di là della donna “da guardare” vittima di un sempiterno male gaze, non riuscendo a cogliere la portata rivoluzionaria che la Monroe ha avuto come attrice e come icona, riducendo la sua figura a quella di un’isterica pin-up traumatizzata.

Nonostante ciò, il film è sicuramente meritevole di essere visto perché riesce ad accendere il dibattito femminista sulla figura di Marilyn Monroe. Lo fa per i motivi sbagliati, ma attraverso il contrasto di cosa non è Marylin ci fa riflettere sul suo ruolo nell’industria culturale e su come questo venga percepito al giorno d’oggi.

Gianluca Tana