Dream Scenario, la recensione del film di Kristoffer Borgli

Dream Scenario

Tutti sognano Nicolas Cage nel nuovo film di Kristoffer Borgli, Dream Scenario, ora in sala grazie a I Wonder Pictures. In Dream Scenario, dramedy surreale dalle tinte grottesche, Cage interpreta infatti il professore di biologia Paul Matthews, un uomo sposato e con famiglia che, inspiegabilmente, inizia a comparire nei sogni delle persone attorno a lui. Ancora una volta, come già accaduto ne Il talento di Mr. C e in Renfield, l’attore statunitense abbraccia a piene mani la sua carica memica che ha portato alla renaissance della sua carriera – grazie anche ad un’ottima interpretazione nel più serio Pig – dopo anni di lavori mediocri e poco stimolanti.

Fulcro delle vicende del film del regista dell’acclamato Sick of Myself è proprio lo statuto di replicabilità del suo protagonista, nelle sue apparizioni reiterate nella mente delle persone che lo circondano e, quindi, nella sua progressiva trasformazione in meme. Paul diventa mano a mano una celebrità, attirando la curiosità e i desideri – ma anche le smanie e le ire – dei suoi sognatori, confrontandosi a viso aperto con le isterie dei nuovi media digitali, tra social, interviste e agenzie di public relations. Le dinamiche sociali vigenti nel tessuto del contemporaneo si intersecano con la singolare situazione che lo pone al centro delle ossessioni della collettività, finendo per cambiare radicalmente la sua vita.

In Dream Scenario, Paul si tramuta da soggetto a oggetto, realizzandosi come entità simulacrale che vive in uno spazio ai confini della realtà. Le potenzialità immaginifiche dell’uomo, e dunque il suo darsi come immagine e non più come persona, si manifestano in un processo di derealizzazione e di decostruzione identitaria che annullano la sua personalità “precedente” (non solo agli occhi degli altri, ma anche da parte di Paul nei confronti di se stesso) per permettere lo sfogo di una nuova espressività, interamente veicolata dal suo carattere di meme. Ormai ridotto a mera immagine riproducibile, Paul perde il suo statuto significante e il suo scenario da sogno non potrà che assumere sempre di più i tratti di un vero e proprio incubo.

Kristoffer Borgli riprende qui le riflessioni svolte nel precedente Sick of Myself, proseguendo il discorso sulle marcescenze del panorama social contemporaneo. Messi da parte il body horror e il cinismo ostlundiano (evitando fortunatamente il rischio di ripetersi), il cineasta norvegese in Dream Scenario attinge più concretamente alle atmosfere surreali appena accennate in Sick of Myself per addentrarsi in un percorso visivo imprevisto, costruito sulle incertezze che mano a mano trascinano il protagonista in una spirale discendente che coinvolge se stesso e la sua famiglia.

Particolarmente riuscita è l’amalgama tra questo assetto formale e la cornice black humour del film. Da questo punto di vista, infatti, Borgli evita di penetrare fino in fondo nelle frontiere più cervellotiche di questo tipo di proposta cinematografica, così da garantire un’immediatezza espositiva encomiabile, che se da un lato forse ne asciuga la carica espressiva e l’unicità, dall’altro non ne corrompe però lo spirito. Dream Scenario non vuole essere Beau ha paura (Ari Aster, tra l’altro, figura tra i produttori del film), ma in un’ottica più ampia sembra quasi volersi proporre come un suo contraltare, più tangibile e al passo con i tempi.

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Daniele Sacchi