“I ribelli del dio neon” di Tsai Ming-liang – Recensione

I ribelli del dio neon

Contesti urbani, alienazione giovanile, slow cinema: il lungometraggio d’esordio di Tsai Ming-liang, I ribelli del dio neon (1992), raccoglie dentro di sé molte particolarità che si dimostreranno poi essere delle componenti fondamentali nel plasmare l’intera filmografia del regista taiwanese. Il film prosegue inoltre la collaborazione tra Tsai Ming-liang e Lee Kang-sheng, sodalizio già avviato nelle produzioni televisive All the Corners of the World (1989) e Xiao hai (1991) e che continuerà per il resto della carriera di entrambi, con l’attore che si troverà a svolgere ruoli di rilievo in tutte le pellicole realizzate dal regista.

I ribelli del dio neon mette in scena in primo luogo un vero e proprio paradigma strutturale che vede come suo nucleo centrale l’arte della lentezza. Analizzando il film dal punto di vista della temporalità filmica, appare evidente come lo scopo ricercato da Tsai Ming-liang con la sua opera sia la tematizzazione dell’apatia sociale e la disconnessione con l’altro nello scontro dialettico tra la rapidità della contemporaneità e la lenta contemplazione dell’istante. Il caos quotidiano degli arcade, le pressioni di una società che richiede ai propri giovani di laurearsi per legittimarsi di fronte agli altri, il traffico estremo della metropoli: I ribelli del dio neon costruisce il proprio immaginario servendosi della realtà stessa che vuole rappresentare, soffermandosi tuttavia sulle individualità che la compongono. È così che la natura slow emerge nei dettagli più particolari e nelle loro connessioni: dalla ripetizione di alcuni gesti apparentemente insignificanti, dalla contemplazione silenziosa, dalla ribellione mentale prima ancora di quella effettiva.

L’indagine svolta dal regista taiwanese è mossa dunque da un desiderio specifico che mira a voler restituire allo spettatore la concretezza della realtà attraverso una rappresentazione fedele della maturazione delle identità giovanili nel contesto proprio della Taiwan dei primi anni ’90.

I ribelli del dio neon

Tsai Ming-liang stesso, in diverse interviste, ha fatto notare come i giovani di Taipei che assistevano alle prime proiezioni del film si dichiarassero sorpresi di come ne I ribelli del dio neon ritrovassero la quotidianità delle loro vite. Il regista taiwanese rende ciò che sta sullo schermo non dissimile da ciò che invece sta al di là di esso, senza ricorrere all’abbellimento esterno dell’orpello ma mostrando e raccontando la realtà per quello che è.

Nello specifico, l’opera si sofferma su tre personaggi in particolare: Hsiao Kang, interpretato dal già citato Lee Kang-sheng, il teppista e ladro Ah Tze (Chen Chao-jung) e la ragazza di quest’ultimo, Ah Kuei (Wang Yu-wen). I ribelli del dio neon non presenta una trama lineare classica, bensì segue la vita dei tre giovani nel suo quotidiano avvenire, preferendo invece mostrare allo spettatore gli elementi che legano i ragazzi e che, lentamente e in processi che loro stessi non possono avvertire, li separano dalle qualità che dovrebbero definirli. Tra le sequenze che meglio definiscono questo modo di intendere il cinema, si possono osservare ad esempio lo stato dell’appartamento di Ah Tze, costantemente allagato e che di fatto mira a simboleggiare il progressivo deterioramento della sua vita nel suo soccombere alla delinquenza, o l’inutile tentativo da parte di Hsiao Kang di instaurare un rapporto con un’altra ragazza attraverso un servizio telefonico per incontri.

Per avere un’ulteriore chiave interpretativa per il film, si può notare infine l’enfasi posta dal titolo originale Qing shao nian nuo zha sulla divinità taoista Nezha, di cui Hsiao, secondo la madre, ne sarebbe l’incarnazione umana. Dopo aver visionato il film di animazione Nezha nao hai (1979), Tsai Ming-liang decise di inserirne il concetto anche all’interno della propria opera, ritenendo che vi sia un Nezha all’interno di ogni ragazzo, rappresentato dal senso di ribellione presente in ciascuno di noi, risultato dalla forte oppressione morale e paternale alla quale si è tradizionalmente sottoposti in quei contesti in cui il giovane non può sottrarsi alle pressanti richieste sociali. I ribelli del dio neon è così un brillante esempio di cinema capace di riflettere su ciò che ci circonda in un’operazione che per osservare e dissezionare il reale decide di prendere le mosse dal proprio assetto formale.

Daniele Sacchi