“Impetigore” di Joko Anwar – Recensione (FEFF 22)

Impetigore

Impetigore (2019) è l’ultimo lavoro del versatile regista indonesiano Joko Anwar, conosciuto per la sua capacità di spaziare da generi commerciali a opere invece più autoriali. Impetigore è una via di mezzo tra questi due modi di intendere il medium cinematografico, un tentativo di proporre un film di genere horror ma con un’impronta decisamente particolare. Un aspetto interessante del film di Joko Anwar è, infatti, la sua capacità di mescolare elementi contemporanei con il folklore indonesiano, in un’operazione che ricorda concettualmente quanto realizzato in film come, ad esempio, The Witch (2015) di Robert Eggers e The Wailing (2016) di Na Hong-jin.

Presentato nel corso della 22esima edizione del Far East Film Festival, Impetigore racconta di Maya, una ragazza che, durante il suo turno di lavoro in un casello autostradale, viene aggredita all’improvviso da un uomo. Quest’ultimo proviene dal villaggio in cui è nata Maya, un luogo colpito da un grave maleficio che riguarda i nuovi nascituri e che, per essere annullato, richiede la morte proprio della ragazza. Non conoscendo il pericolo che l’attende, Maya si recherà insieme all’amica Dini nel villaggio con la scusa di ereditare la casa di famiglia e per fare chiarezza sul suo passato, andando incontro però ad una spirale di angoscia e di terrore che metterà a dura prova il suo istinto di sopravvivenza.

Impetigore

Sebbene eccessivamente didascalico a tratti, in particolar modo nei momenti in cui vengono rivelati i suoi misteri, Impetigore è un film che riesce a coniugare in maniera estremamente consapevole i molteplici – e soprattutto vari – elementi che propone allo spettatore. Rifuggendo da trucchetti e stratagemmi che fortunatamente trovano sempre meno spazio in un certo tipo di produzioni horror, l’opera di Joko Anwar accenna in diverse occasioni alla possibilità del jumpscare ma senza portarlo mai realmente a compimento, coinvolgendo invece lo spettatore da un punto di vista più psicologico, emotivo e sensoriale. In alcuni momenti, nello specifico, la brutalità di quanto appare su schermo – per quanto limitata ad alcune sequenze e mai vero focus del film – riesce a comunicare molto di più rispetto a quanto farebbe un mero spavento occasionale.

Il punto di Impetigore risiede infatti altrove, ossia nella già citata commistione tra le tinte folk dell’intreccio e il respiro contemporaneo che il film intende avere, percepibile già nella sequenza d’apertura sino ad arrivare ad alcune interessanti scene oniriche e dalle tinte più marcatamente sovrannaturali nella seconda parte dell’opera. Una delle qualità di Impetigore, in tal senso, è l’omogeneità strutturale e stilistica che riesce a dimostrare sebbene il film sia ricco di elementi di vario genere, spaziando infatti tra visioni eteree, sequenze gore, inseguimenti, momenti di riflessione e rese dei conti, il tutto affrontato con una fotografia e una regia che supportano pienamente il mood di quanto rappresentato. Luci fioche, tinte pallide e inquadrature inaspettate su dettagli che graffiano lo sguardo: l’opera di Joko Anwar è un prodotto di genere ardito che, al di là di qualche forzatura narrativa di troppo (come, ad esempio, l’evitabilissima sequenza finale), propone un discorso stilistico brillante e in linea con altri film simili della nostra epoca.

Le recensioni del Far East Film Festival 22

Daniele Sacchi