“The Witch” di Robert Eggers – Recensione

The Witch

The Witch (2015) è il primo folgorante lungometraggio di Robert Eggers, un cineasta che ha rivoluzionato – insieme ad Ari Aster, regista di Hereditary (2018) e Midsommar (2019) – il panorama cinematografico horror mondiale. In realtà, di fronte ad un’opera come The Witch – o anche al successivo The Lighthouse (2019) – diventa difficile parlare di horror in termini tradizionali, dal momento che il regista stesso ha dichiarato in diverse interviste di non essere poi così tanto appassionato al genere in sé. Il cinema di Robert Eggers infatti è ben lontano da alcune peculiarità tipiche dell’horror, come il ricorso al jumpscare o a schemi già ben consolidati come quelli propri dello slasher, ed è maggiormente preoccupato invece a sviluppare un’atmosfera di disagio onnipervasivo, perturbante e a tratti esistenziale attraverso una narrazione e una cornice estetica interamente immerse nel misticismo e nel folklore.

Il tono di The Witch viene anticipato dal suo sottotitolo, A New England Folktale, “una fiaba del New England” (deturpato nella versione italiana con un frivolo “Vuoi ascoltare una favola?”). Robert Eggers scava nella dimensione archetipica della sua terra di origine, ambientando la storia del film nelle comunità puritane coloniali del 1600 e richiamando direttamente racconti popolari, fiabe e testimonianze storiche scritte, prendendo ispirazione anche da diversi diari personali dell’epoca per elaborare i dialoghi pronunciati dai suoi protagonisti. È anche attraverso il dettaglio linguistico che The Witch espande la propria narrazione verso una direzione ben precisa e storicizzata, per quanto ricca di riferimenti folkloristici. Non sorprende infatti il fatto che la famiglia al centro della trama del film, bandita dalla comunità puritana locale a causa di una disputa religiosa, parli un perfetto Early Modern English in virtù della loro ligia attenzione verso i contenuti del testo biblico tradotto, un dettaglio fondamentale che focalizza immediatamente l’attenzione spettatoriale sull’orizzonte non solo culturale, ma anche valoriale del nucleo famigliare.

The Witch

Il predicatore William (Ralph Ineson) si trasferisce così insieme alla moglie Katherine (Kate Dickie) e ai figli ai margini di un bosco, dedicando quotidianamente le proprie energie all’agricoltura, alla caccia e all’allevamento. Vivere al di fuori della comunità nel New England del 1600 equivale a sottoporsi ad una vera e propria forma di sopravvivenza, non solo per le condizioni di vita precarie ma anche a causa della prossimità del bosco. In The Witch, esattamente come nel periodo storico in cui è ambientato, i pericoli dell’immaginario si identificano presto con i pericoli della realtà. Quelle che all’interno delle mura sicura delle comunità non sono nient’altro che storie, fiabe, miti e leggende, al di fuori di essa diventano possibilità reali. Innervate con l’estremismo religioso di William e della sua famiglia, le strutture archetipali del male si presentano in tal senso come una minaccia insormontabile e difficilmente affrontabile.

L’elemento che funge da motore della trama è la scomparsa di Samuel, il figlio più piccolo di William e Katherine. Lasciato in cura alla sorella maggiore, Thomasin (Anya Taylor-Joy), il neonato viene rapito da una strega che vive nel bosco. È solo l’inizio dei tormenti per la famiglia che si troverà a dover fare i conti non solo con i pericoli che la circondano, ma anche con una serie di fratture interne che non potranno che condurre progressivamente ad una vera e propria crisi valoriale e mentale. Ad alimentare il substrato perturbante di The Witch, oltre alle brevi ma angoscianti incursioni nei territori della strega, vi è anche l’attenzione data da Robert Eggers alla dimensione animale. In particolare, oltre ad alcune figure tradizionalmente legate alla stregoneria come la lepre e il corvo, a giocare un ruolo predominante nel film è il caprone Black Phillip, un vero protagonista a sé stante che trova uno spazio privilegiato nello sviluppo della trama: secondo i due gemelli Mercy e Jonas, ad esempio, il caprone sarebbe in grado di comunicare con loro, arricchendo ulteriormente il connubio alla base del film tra reale e immaginario.

The Witch

Lo spettatore, nel corso di The Witch, segue lo svolgersi degli eventi principali soprattutto attraverso gli occhi di Thomasin e del fratello Caleb (Harvey Scrimshaw). Il personaggio di Thomasin prova una evidente difficoltà nel rimanere ancorata ai principi del puritanesimo costantemente promulgati dal padre e dalla madre, specialmente di fronte ad alcune contraddizioni di fondo che li contraddistinguono entrambi. La ragazza, inoltre, non sembra mai essere realmente turbata in profondità dalle stranezze che accadono attorno a lei, come evidenziato ad esempio in una sequenza in cui rivela scherzosamente a Mercy di essere lei stessa una strega. Robert Eggers decide così di rendere Thomasin un vero e proprio elemento sovversivo per il racconto, un’anima vagante alla ricerca di se stessa in una realtà rigida e oppressiva ma che sembra nascondere altro al di là delle mura del proprio dogma. Caleb, invece, accecato dagli insegnamenti del padre, sembra intraprendere immediatamente una direzione ben precisa per sé, sino a quando però non dovrà fare i conti con la sua sessualità. Ossia, in un contesto come quello presentato in The Witch, con l’emergere dell’impossibile, culminando in un’estasi cristologica sconvolgente e imprevista.

The Witch immerge dunque lo spettatore in un racconto da un lato storicizzato ma dall’altro lato ricco di misticismo e di simboli da interpretare e da risemantizzare, a partire da quello centrale nell’economia del suo racconto, la figura della strega. La strega come un’anti-madre, come un lato oscuro della femminilità (cfr.) che si manifesta con un’irruenza tale da scardinare ogni ordine e principio. Robert Eggers spoglia la sua protagonista dal manto dei principi assoluti e indiscutibili per donarle una libertà emancipatoria che non avrebbe potuto conoscere se non con un ribaltamento sovversivo di ogni verità considerata come tale. Un’operazione simile a quella dello stesso cineasta statunitense che con il suo film propone un nuovo punto di inizio per il genere horror, distaccandosi dai trend più diffusi per muoversi in territori autoriali ancora poco esplorati e regalandoci un’assoluta perla.

Daniele Sacchi