In the Land of Saints and Sinners, la recensione del film

In the Land of Saints and Sinners

Immaginatevi un western ambientato non agli inizi del ‘900 ma sul finire degli anni ’70. Al posto della Monument Valley e dei grandi canyon americani, ambientatelo tra le scogliere a strapiombo sull’oceano, nelle foreste di abeti e nelle campagne irlandesi. Sostituite i cavalli con le macchine, ma tenete ogni altro elemento: un protagonista in fuga da un passato violento che riesce a raggiungerlo, una banda di antagonisti che si fa largo a botte di dinamite, revolver e fucili d’epoca, la sparatoria nel saloon. Se eseguite questa operazione, quello che otterrete è In the Land of Saints and Sinners, il nuovo film d’azione di Robert Lorenz (Di nuovo in gioco, Un uomo sopra la legge) con protagonista Liam Neeson.

Irlanda del Nord, 1974. Il Paese è diviso e funestato dagli attentati dell’IRA, gruppo armato di separatisti irlandesi. Una delle sue cellule, guidata da Doireann McCann (Kerry Condon) è in fuga dalla legge dopo che un loro attentato ha posto fine alla vita di sei persone, tra cui tre bambini e una civile. Il gruppo trova rifugio nella cittadina costiera di Glencolmcille. Nella stessa città si è ritirato anche Finbar Murphy (Liam Neeson), un ex assassino che ora vorrebbe dedicarsi ad una vita pacifica di armonia con il vicinato e gli amici del luogo. La violenza, però, è uno spettro destinato a tornare sempre e quando le strade dell’assassino si incrociano con quelle dei terroristi non può che esplodere in un confronto che rischia di coinvolgere anche gli innocenti cittadini e le persone più vicine a Finbar.

Il tempo è una risorsa limitata, sfugge dal controllo delle persone, e il tempo su questa terra è sempre più breve di quello che una persona potrebbe aspettarsi. In In the Land of Saints and Sinners questa caducità è simboleggiata dall’onnipresente timer analogico: lo usano i militanti dell’IRA per programmare le bombe, lo usano gli assassini prima di sparare alle vittime, lo usa Finbar nella vita di tutti i giorni. Il timer non si limita ad indicare lo scorrere del tempo, ma rappresenta una scadenza, il momento esatto in cui accadrà qualcosa di irrimediabile, in cui chi l’ha impostato non ha più modo di intervenire. Ciò che conta allora è quello che si è fatto prima di questa scadenza, far valere ogni secondo in modo che il suono del timer non ci colga colmi di rimpianti.

Se Liam Neeson si conferma l’uomo da chiamare quando necessiti di un irlandese d’azione, che parla poco e travolge come un treno chiunque si ponga sulla sua strada, è Kerry Condon a portare sullo schermo un’antagonista cupa e affascinante. L’utopista Doireann parte come un personaggio ambiguo, in cui voglia di libertà e fede nella causa dell’IRA conducono verso una strada di violenza e morte. L’uccisione accidentale dei bambini segna un punto di non ritorno verso una parabola discendente che la porterà a perdere di vista ogni obiettivo, alla ricerca di una vendetta autodistruttiva ormai senza scrupoli e remore. Se il personaggio di Neeson resta invariato nelle sue motivazioni dall’inizio fino alla fine, rimanendo un assassino dai forti principi morali (non si accettano contratti di omicidio di donne e non si toccano bambini), è lei ad avere l’evoluzione (o involuzione) più interessante, che arriva a renderla un cattivo memorabile che lo spettatore amerà odiare.

Nella terra dei santi irlandesi si scontrano i peccaminosi destini dei protagonisti, in un film d’azione coinvolgente, una piacevole sorpresa per gli amanti del cinema di genere.

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Gianluca Tana