La cospirazione del Cairo di Tarik Saleh, la recensione

La cospirazione del Cairo

Cinema d’inchiesta e thriller di spionaggio trovano un buon punto d’incontro e di coesione ne La cospirazione del Cairo, Prix du scénario durante l’ultima edizione del Festival di Cannes e ora in sala nel nostro Paese grazie a Movies Inspired. Dopo la parentesi americana di The Contractor, il regista svedese di origine egiziana Tarik Saleh ritorna ad ambientare un film proprio in Egitto, ancora una volta con l’attore libanese Fares Fares in un ruolo chiave a diversi anni da Omicidio al Cairo. Il risultato è un’indagine serrata sul lato oscuro del potere, tra politica, religione, cospirazioni e omicidi.

A monte di tutto ciò vi è una figura all’apparenza insospettabile. Il giovane pescatore Adam (Tawfeek Barhom) viene inaspettatamente ammesso alla prestigiosa Università al-Azhar, un polo fondamentale in Egitto per lo studio dei princìpi dell’Islam sunnita. Lasciato il suo villaggio d’origine, Adam inizia il suo percorso universitario con grandi speranze e ambizioni, ma dopo l’improvvisa morte del Grande Imam di al-Azhar, il ragazzo diventerà la pedina del colonnello dei servizi segreti egiziani Ibrahim (interpretato da Fares Fares), finendo per ritrovarsi presto al centro di una rete di giochi di potere molto più grande di lui.

Al netto di una certa rigidità nell’impostazione registica, La cospirazione del Cairo compensa le sue mancanze in termini di messa in scena concentrandosi in pieno su ciò che si cela ai margini del suo intrigo, proponendosi di fatto come effettivo commentario sociale e film di denuncia. Il focus è tutto sulla progressiva perdita d’innocenza di Adam, “l’angelo” nonché il boy from heaven richiamato dal titolo originale del film, il pescatore appassionato di studi coranici trascinato in una lotta e in un massacro dove ogni buon proposito e ideale crolla in favore di chi, invece, antepone la propria volontà di potenza a tutto il resto.

In questi termini, ne La cospirazione del Cairo emerge anche un discorso sul sapere e sulla conoscenza particolarmente acuto, sia nel determinare uno spazio privilegiato – perlomeno sul piano teorico – di trasmissione del sapere come l’Università come teatro degli orrori inatteso, istituendo di fatto un cortocircuito tra ciò che il luogo rappresenta e le tensioni suscitate dalle vicende che vi ruotano attorno, sia nel sottolineare la stratificazione simbolica di una lettura considerata come “proibita”. Nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, Adam ricerca attraverso i suoi studi universitari una salvezza dello spirito che è sia intellettuale sia religiosa, non potendo però evitare di scontrarsi duramente con la realtà infida che lo circonda, diventandone parte integrante.

Sebbene La cospirazione del Cairo vacilli in alcuni snodi narrativi importanti, in particolare quelli più marcatamente thriller dove di fatto l’azione drammatica dovrebbe imporsi come tale (il confronto tra Adam e l’Imam cieco, ad esempio, è veramente poco credibile nella sua risoluzione), la pellicola di Tarik Saleh, a conti fatti, è comunque un’opera equilibrata che al facile sussulto preferisce una poetica cinematografica più stabile e misurata. Una scelta che, specialmente quando si trattano questioni complesse ed importanti, può rivelarsi un’arma a doppio taglio.

Daniele Sacchi