Il ritorno di Casanova, la recensione del film di Gabriele Salvatores

Il ritorno di Casanova

Il cinema è come una droga, la vita tra un film e l’altro è fredda e senza colore: una gabbia di convenzioni, di oggetti che isolano dal mondo e consumano l’esistenza. La vecchiaia è semplicemente il momento in cui si realizza che una vita dedicata al cinema ha lasciato poco spazio alla vita al di fuori di esso. Il ritorno di Casanova è la storia personalissima di Gabriele Salvatores, nascosta a malapena in un racconto metacinematografico.

La vita di Leo Bernardi (Toni Servillo) è un pendolo che oscilla tra un film e l’altro, e il tempo che li separa appare come vuoto e privo di senso. La sua esistenza devota al cinema lo ha portato a chiudersi in una reggia solitaria, fredda e vuota, dominata da una tecnologia che non capisce e che riduce ancora di più il suo contatto con il mondo. Unico amico il suo storico montatore (Natalino Balasso) che cerca di tirare fuori dal girato del regista un film – Il ritorno di Casanova, appunto – giusto in tempo per partecipare alla Mostra del Cinema di Venezia.

La realtà di Bernardi e la realtà di Casanova (Fabrizio Bentivoglio) scorrono in parallelo. Entrambi ormai anziani e diretti a Venezia – uno per il festival, l’altro per trascorrere i suoi ultimi anni in laguna – vivono una storia d’amore con una ragazza più giovane e si scontrano con un uomo, un regista esordiente nel caso di Bernardi e un capitano militare (Angelo di Genio) per Casanova. Il parallelismo tra i due è reso da un’estetica molto incisiva, a partire dal bianco e nero per le scene “reali” e del colore per quelle del film, ma il regista si perde in una simbologia e in una serie di metafore sul passare del tempo dal sapore un po’ troppo retorico.

Le problematiche principali de Il ritorno di Casanova si riscontrano nel tentativo di attribuire una valenza universale a quello che sembra invece costituirsi come un racconto personalissimo. Una carenza evidente è individuabile anche nella volontà di rappresentare una prospettiva che, per quanto interessante, si presenta di fatto come obsoleta, reificando le figure femminili (per quanto all’apparenza forti ed emancipate) a mero oggetto per misurare la giovinezza e il vigore – ormai perso – del protagonista, soprattutto nella realtà filmica in cui il vecchio Casanova riesce a vincere sulla gioventù e ad architettare un ultima “conquista”, che però di fatto è una violenza sulla giovane Marcolina (Bianca Panconi). Nella realtà del regista, invece, la giovane donna (Sara Serraiocco) si istituisce come una chance perfetta per ravvivare una vita fuori dal cinema, che diventa però una possibilità solo quando la donna dichiara di essere incinta: sicuramente una dinamica narrativa ormai passata e in un certo senso anche deleteria.

Pur con una messa in scena e un’estetica curata e attenta, Il ritorno di Casanova cerca di raccontare il senso di disorientamento della vecchiaia e di una vita dedita esclusivamente al cinema e al lavoro perdendosi però in una retorica poco attuale che, suo malgrado, risulta come estremamente autoreferenziale e fine a se stessa.

Alberto Militello