“La nona porta” di Roman Polański – Recensione

La nona porta

La nona porta (1999) è forse l’opera di Roman Polański meno amata dal pubblico e dalla critica. Il film, tratto dal romanzo Il club Dumas (di Arturo Pérez-Reverte), è stato descritto come un esempio di «Euro-kitsch» superfluo (cfr.) e scadente che nemmeno una star come Johnny Depp è stata in grado di salvare (cfr.). La lamentela più comune consiste nell’incapacità de La nona porta, in qualità di thriller sovrannaturale, di supportare a dovere la propria componente narrativa, non mostrando una risoluzione degna dei propri misteri e indugiando troppo a lungo su alcuni elementi autoriali che sembrano non aggiungere molto alla trama del film. Ma è davvero così?

Nello specifico, ne La nona porta Johnny Depp interpreta Dean Corso, un commerciante ed esperto di libri antichi. Boris Balkan (Frank Langella), un bibliofilo di New York, fornisce all’uomo l’incarico di indagare su un testo in suo possesso, intitolato Le nove porte del Regno delle Ombre e realizzato nel 1666 da un esoterista di nome Aristide Torchia. A tal proposito, Balkan crede che delle tre copie esistenti del libro, solo una sia reale: il compito di Corso consiste nel trovare le altre due copie e accertarsi che una di esse sia effettivamente autentica. Una volta in suo possesso, Balkan vorrebbe utilizzarla per evocare il diavolo, in virtù del potere garantitogli dalle illustrazioni contenute nel libro stesso, che consisterebbero in un riadattamento da parte di Torchia di alcune raffigurazioni provenienti da un altro testo, l’Horrido Delomelanichon, che secondo il mito sarebbe stato scritto dallo stesso Lucifero.

Come evidente dalla trama, il film di Roman Polański si presenta sin dal suo soggetto come un noir che affonda ampiamente le proprie radici nel tema dell’occulto. Lo stile con il quale l’intreccio viene rappresentato è tuttavia estremamente sobrio e dunque apparentemente in contrasto con i suoi contenuti. Non stupisce pertanto il rifiuto condiviso esibito verso la pellicola, che presenta un apparato narrativo che sembra richiedere qualcosa in più rispetto a quanto traspare dalle sue immagini. Allo stesso tempo, però, la scelta del regista polacco di accompagnare le vicende del film con una messa in scena priva di particolari sussulti, se non in una manciata di sequenze, risulta in realtà abbastanza coerente con quelle che sono le premesse dell’opera.

La nona porta

La nona porta, infatti, non sembra voler mai proporsi come un effettivo thriller sovrannaturale, sebbene questo sia uno dei punti sui quali la critica maggiormente si è espressa in negativo (cfr.). La tematica occulta resta perlopiù sullo sfondo, lasciando spazio a più riprese agli elementi maggiormente caratterizzanti l’esperienza cinematografica tipica del noir. Per la maggior parte del runtime del film, infatti, lo spettatore si trova a seguire gli sforzi compiuti dall’apatico Corso nel cercare di risolvere il mistero dietro al libro, insieme al tentativo di comprendere l’identità della ragazza senza nome (interpretata da Emmanuelle Seigner, moglie di Polański) che in diverse occasioni si trova a salvare la vita dell’uomo dai pericolosi interventi di Liana Telfer (Lena Olin), volenterosa di impadronirsi nuovamente del testo che in passato le apparteneva.

Le poche digressioni sul sovrannaturale de La nona porta sono di un sapore spiccatamente camp, tese nel corroborare l’alone di mistero suscitato dal film. Il centro dell’attenzione tuttavia è l’indagine sul testo, che diventa protagonista a sua volta dell’opera. Dagli inaspettati assassini di alcuni personaggi chiave incontrati da Corso, sino ai viaggi che lo vedono esplorare diverse località europee, si rende presto evidente come l’attrattiva suscitata dal libro non riguardi solamente i protagonisti dal film ma anche lo stesso spettatore. La ricerca dell’uomo è vana o vi è un effettivo mistero che si cela tra le pagine e le raffigurazioni del libro?

In tal senso, il ruolo chiave giocato dalle illustrazioni contenute ne Le nove porte del Regno delle Ombre si trova a sua volta ad arricchire l’identità e l’originalità del film, non solo ponendosi al centro del mistero, ma anche strutturando materialmente alcune delle sue sequenze, fuoriuscendo dal libro e finendo per plasmare la realtà stessa. Sebbene ridondante in alcuni punti, nei quali l’ammiccamento verso l’action movie sembra stonare con lo stile del resto della pellicola, La nona porta è nel complesso un’indagine piacevole da seguire e persino capace di riservare allo spettatore qualche sorpresa, se visionata con la corretta predisposizione.

Leggi qui la recensione di J’accuse, l’ultimo film di Roman Polański.

Daniele Sacchi