“La vérité” di Hirokazu Kore-eda – Recensione (Venezia 76)

La vérité

La 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si apre con La vérité di Hirokazu Kore-eda, film di produzione francese nonché il primo lavoro realizzato dal regista giapponese lontano dalla sua patria. Dopo essersi aggiudicato la Palma d’oro al Festival di Cannes del 2018 con Shoplifters – Un affare di famiglia, Kore-eda cambia aria ma non delude, dimostrandosi capace di gestire magistralmente ambiente e lingue differenti (a differenza di quanto accaduto nel caso altri cineasti orientali in occidente, basti pensare ad esempio all’insipido My Blueberry Nights del grande regista cinese Wong Kar-wai).

Aiutato dall’ottima prova attoriale di un cast di tutto rispetto, Kore-eda realizza un piccolo gioiello che in linea con la propria poetica cinematografica propone una riflessione sul tema della famiglia. Nello specifico, La vérité si sofferma sul rapporto madre-figlia, esaminato a partire da una situazione particolare che vede la settima arte giocare il ruolo di protagonista a fianco dei personaggi del film. La trama racconta di Fabienne (Catherine Deneuve), una celebre attrice francese che vive a Parigi e che si trova da tempo ad avere un rapporto problematico con la figlia Lumir (Juliette Binoche). Lumir si è trasferita negli Stati Uniti per lavorare come sceneggiatrice ed è ora di ritorno, insieme alla figlia e al marito Hank (Ethan Hawke), per visitare la madre in occasione della pubblicazione della sua autobiografia, dal titolo La vérité. Il suo arrivo si presenterà come un’occasione utile per le due donne per confrontarsi su alcuni dissapori del passato, nel tentativo di sistemare una relazione che sembra non avere più alcun fondamento sul quale reggersi.

Sin dalle battute iniziali de La vérité si rende evidente come Hirokazu Kore-eda sia stato particolarmente attento a mantenere il tono della pellicola costantemente a cavallo tra il dramma e la commedia, riconfermando ancora una volta la sua bravura nel riuscire a trattare di argomenti e tematiche complesse con uno stile leggero e piacevole, ma che sa essere anche serio e toccante. Tutto ciò non sarebbe possibile senza l’immenso contributo dato alla pellicola da Catherine Deneuve e da Juliette Binoche, senza le quali, molto probabilmente, ci troveremmo di fronte a un film completamente diverso. Kore-eda stesso ha dichiarato che lo script è una rielaborazione di una commedia scritta da lui stesso circa 15 anni fa, la quale inizialmente aveva come protagonista un’attrice teatrale. Il contributo delle due attrici francesi è stato infatti fondamentale per Kore-eda per arricchire la propria sceneggiatura con delle precise riflessioni riguardanti il cinema e la recitazione.

La vérité

In tal senso, La vérité non presenta il confronto madre-figlia solamente nella più intima dimensione famigliare (buona parte del film si svolge, a tal proposito, nell’abitazione di Fabienne), ma anche attraverso un sottotesto metacinematografico esplicito. Al centro della trama de La vérité, infatti, vi sono anche le riprese di un film nel quale Fabienne svolge un ruolo secondario. Il set diventa un ulteriore luogo importante per l’attrice e la figlia, uno spazio dove la finzione del cinema mostra con la propria potenza immaginifica la capacità di alterare il reale, mutandolo e influenzandolo attraverso modi che non possono essere anticipati o compresi pienamente.

Un’altra chiave per comprendere a fondo La vérité risiede nell’autobiografia di Fabienne, un simulacro della sua vita che attraverso una buona dose di rielaborazioni fittizie di fatti e di eventi rischia di diventare con la sua pubblicazione, anche grazie allo star power dell’attrice, un contenuto fruibile come veritiero. Kore-eda abbozza dunque un tentativo di decostruzione del concetto di verità, senza tuttavia perdersi in futili disquisizioni filosofiche ma donando invece a quello che è l’effettivo oggetto della sua indagine – il rapporto tra Fabienne e Lumir – una solida base metatestuale dalla quale prendere le mosse per permettere allo spettatore di rimuginare ulteriormente e a lungo sul ruolo delle due donne nell’economia complessiva delle loro vite.

Se da un lato è la dimensione dialogica a fare da padrona ne La vérité, dall’altro Kore-eda ricorre in alcuni casi anche a delle splendide metafore visuali – il soffermarsi sui cambiamenti della natura, così come sui sogni di Fabienne – che sottolineano e approfondiscono ulteriormente il carattere e i pensieri dei suoi personaggi. La vérité racconta una storia semplice, ma lo fa nel migliore dei modi: dando la possibilità alle sue immagini e alle sue riflessioni di colpire nel profondo, insieme alla speranza di strappare allo spettatore almeno un sorriso.

Le recensioni di Venezia 76.

Daniele Sacchi