“My Octopus Teacher” di Pippa Ehrlick e James Reed – Recensione

My Octopus Teacher

L’edizione degli Oscar 2021 sarà ricordata – al di là del momento storico particolare in cui ci troviamo – per la vittoria di Chloé Zhao come la prima regista di origini asiatiche a conquistare il premio per la miglior regia; per Riz Ahmed, il primo interprete musulmano ad essere stato candidato come miglior attore e, per la prima volta, due interpreti di colore (Daniel Kaluuya e Lakeith Stanfield) si sono contesi la stessa statuetta per lo stesso film, Judas and the Black Messiah di Shaka King. La pandemia ha senza dubbio cambiato il modo in cui “viviamo” il cinema: la chiusura delle sale cinematografiche ha infatti spostato numerose uscite direttamente sulle piattaforme di streaming, portando così molti titoli a non passare per la sala, uscita fino ad ora considerata canonica. Tra le varie piattaforme, Netflix si è aggiudicata ben sette premi: tra questi, il miglior documentario per My Octopus Teacher (Il mio amico in fondo al mare il titolo italiano), realizzato da Pippa Ehrlich e James Reed a partire dalle riprese di Craig Foster.

Nel 2010 Foster, che da sempre ha lavorato come documentarista, stava attraversando una crisi personale. Nei suoi viaggi ha incontrato numerosi popoli in perfetta simbiosi con il luogo in cui vivono, sensazione che non ha mai provato in prima persona: si sente, infatti, un estraneo senza radici. Decide allora di tornare alla sua città natale e di documentare le sue immersioni solitarie nella foresta di Kelp, al largo di Cape Town, in Sud Africa. Durante queste esplorazioni l’uomo si imbatte per caso in un esemplare di polpo comune. L’incontro curioso lascia qualcosa in lui e decide quindi di tornare anche i giorni successivi a cercare nuovamente l’animale. Per un anno Foster segue da vicino la vita di questa creatura “aliena” e con il tempo diventa evidente come anche quest’ultima impari a riconoscere l’uomo e ad accettarlo come un elemento del suo ambiente, al punto da arrampicarsi anche sulle sue braccia e instaurando così un rapporto inaspettato.

My Octopus Teacher

Vi è indubbiamente un impoverimento nella scelta della traduzione italiana del titolo. Quello che si instaura tra uomo e animale non è un semplice rapporto di amicizia, ma qualcosa di più simile a ciò che intercorre tra l’insegnante e il suo allievo. Craig Foster è alla ricerca della risposta alla domanda fondamentale: qual è il mio posto nel mondo? Il fatto che una creatura così libera e selvatica arrivi ad accettarlo nel suo ecosistema, al punto da fidarsi completamente di lui, gli mostrerà che è quella stessa foresta sommersa ad essere quel luogo. Ancora oggi Foster si immerge regolarmente nella foresta di Kelp e ha inoltre istituito un’associazione che ha come obiettivo la salvaguardia della biodiversità di questa meraviglia naturale.

Nuovamente, come accaduto con altri documentari con protagonisti degli animali – come Gunda di Victor Kossakovsky o Le 4 volte di Michelangelo Frammartino – ci troviamo di fronte ad uno sguardo persistente, che per lungo tempo osserva, studia e indaga il loro mondo. Se il rapporto con il tempo si esplicita nei due film citati nelle scelte di montaggio, con inquadrature lunghe ed insistenti, questo non è così evidente in My Octopus Teacher, che adotta invece un montaggio più tradizionale, più adatto al grande pubblico e alle esigenze commerciali di una piattaforma come Netflix. Il rapporto tempo/comprensione, nel film, è implicito e le oltre 3000 ore di materiale girato da Foster ci insegnano come il tempo e la pazienza siano le chiavi di lettura necessarie sia per comprendere questi mondi a noi estranei, che per comprendere meglio noi stessi.

Gianluca Tana