“Nuevo Orden” di Michel Franco – Recensione

Nuevo Orden

Nuevo Orden è un film che ragiona per dicotomie. Oppressi e oppressori, ricchi e poveri, ordine e caos: un manicheismo anacronistico che vorrebbe riflettere sul contemporaneo ma che fatica a trovare una linea di pensiero specifica per muovere con vigore ed intensità le proprie considerazioni sul sociale. Vincitore del Leone d’Argento alla 77esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il dramma distopico di Michel Franco ci parla di disuguaglianza, di lotta di classe, di scontro identitario, mettendo in scena una realtà molto simile a quella individuabile oggi in tante parti del mondo. Non basta, però, la semplice idea e volontà di rappresentare il collasso strutturale di un sistema corrotto per ergersi ad effettivo commentario del contemporaneo.

Nell’incipit, una festa di matrimonio dell’alta società messicana viene interrotta dall’arrivo di un gruppo di rivoltosi. A causa dei disordini provocati da questa rivoluzione dal basso, diffusi in tutto lo Stato, le forze militari instaurano una dura e feroce dittatura. All’interno di questo orizzonte, i punti di conflitto tra i benestanti e le classi più povere sono ben lontani dall’apparire come delineati in maniera adeguata e precisa, diversamente da quanto poteva accadere, invece, nel Parasite di Bong Joon-ho. In Nuevo Orden, ad emergere e a darsi come preponderante è semplicemente la natura stessa dell’azione conflittuale, un’irruenza violenta e irrefrenabile capace di graffiare e di infastidire la sensibilità spettatoriale, ma che allo stesso tempo esaurisce la propria carica espressiva nel momento del suo stesso manifestarsi.

Nuevo Orden

Nel film di Michel Franco non vi è un’effettiva risoluzione, né un’indagine esplicita. Nuevo Orden è un’opera che si limita, di fatto, ad una descrizione sommaria dell’atto sovversivo, rischiando di trasformare le istanze politiche, sociali e culturali che dovrebbero determinarlo e permearlo in una banale caricatura delle stesse. Lontane sono anche le intuizioni di un’opera come I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, che mescolava alla necessità del messaggio sociale una ricercatezza formale e stilistica acuta ed intelligente. Le coordinate visive forniteci da Franco sono poche e solamente accennate: a partire dalle insorgenze cromatiche della prima metà del film sino ad arrivare alla brutale rappresentazione della violenza militare e dei rivoltosi, Nuevo Orden mira a restituire allo spettatore una progressiva esperienza del terrore che però, nel momento in cui dovrebbe effettivamente esplodere, si dissolve presto a causa della mancanza di una coltre estetica soggiacente, perdendosi nel discontinuo e nell’approssimativo.

Così, il regista messicano finisce per parlarci di un conflitto che non interessa, di persone – agiate o meno abbienti, non fa differenza – che non hanno una dimensione reale, di esigenze e problematiche che non vengono mai approfondite né discusse. Chiariamoci: la messa in scena dell’evento destabilizzante, nella caoticità delle sue disconnessioni (de)strutturanti, non è di per sé un problema e, anzi, con le giuste condizioni può anche proporsi come esempio di grande cinema (pensiamo, ad esempio, a Gaspar Noé). Ma, per tornare a Parasite o a I figli degli uomini, se si vuole trattare il contemporaneo con le sue derive e contraddizioni, forse c’è bisogno di qualcosa in più, di una precisione e un rigore che in Nuevo Orden, purtroppo, latitano.

Daniele Sacchi