“The Last Duel” di Ridley Scott – Recensione

The Last Duel

Nel 1386, in Francia, ebbe luogo uno dei Duelli di Dio più famosi della Storia, quello tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gris. I cosiddetti “Duelli di Dio” erano una tipologia di scontri diretti tra due parti, atti a determinare le colpe giudiziarie in ultima istanza, ovvero fino al momento in cui una delle due fazioni non arrivava a perire. Il sopravvissuto sarebbe stato giudicato non colpevole e, di conseguenza, vincitore del “processo”. Il duello su cui si basa la vicenda raccontata in The Last Duel venne storicamente proposto da de Carrouges (Matt Damon, nel film) quando, dopo il suo ritorno da una delle molteplici battaglie combattute per dimostrare la sua fiducia al Re, dopo che la moglie Marguerite (Jodie Comer) gli confessò di essere stata aggredita e abusata dall’amico di vecchia data Jacques Le Gris (Adam Driver), in un momento in cui a corte non era presente nessuno che potesse proteggerla.

In quanto vicenda molto controversa e dalla veridicità mai confermata o discussa, Ridley Scott decide di suddividere la narrazione del film in tre parti, ciascuna raccontata da uno dei tre protagonisti, richiamando a modo suo Rashomon di Akira Kurosawa. Questi tre punti di vista differenti sulla vicenda donano allo spettatore uno sguardo d’insieme sul caso in questione, vivendo e provando emozioni molto contrastanti tra loro pur trattandosi della messa in scena delle medesime situazioni. Ma qual è la verità? Il regista non dà nulla per certo, mettendo in discussione la parola di tutti e ponendo tra parentesi il giudizio di colpevolezza fino all’ultima scena, lasciando al Duello di Dio il compito di decidere la “verità”.

The Last Duel

Se registicamente la scelta di ripetere la narrazione cambiando i punti di vista dei protagonisti risulta vincente, drammaturgicamente parlando questa multipla ripetizione risulta fin troppo risonante e poco coinvolgente, soprattutto se rapportata all’importanza del cambio di intenti che Scott opera per ogni personaggio. In tal senso, The Last Duel è un film che affida molto allo spettatore. In tutte e tre le parti le espressioni e le battute degli attori sono diverse e poco enfatizzate, lasciando proprio al pubblico in sala il giudizio neutrale sull’attribuzione della colpa. Lo spettatore, però, deve essere attento poiché chiamato ad essere testimone diretto della vicenda. Chi dovrà perire? Le Gris o il dispotico marito de Carrouges? E se i due ex amici non c’entrassero nulla? E se fosse proprio Marguerite la mente dietro la distruzione dei due uomini? Se avesse architettato tutto per assicurarsi un erede e per zittire tutte le malelingue sulla sua reputazione da moglie non fertile? Nessuno saprà mai la verità.

Sicuramente, guardando The Last Duel non si può non notare la grande abilità di Ridley Scott nel dirigere le scene di battaglia, includendo in questa tipologia anche la splendida sequenza dell’ultimo duello che dà il titolo al film stesso. Già in alcuni emblematici lavori precedenti, come Il Gladiatore e Le Crociate, si è potuto assaporare lo stile inconfondibile di Scott che cura nei minimi dettagli questa tipologia di scene e che, pur non essendo di fondamentale importanza in questi film, fanno immergere lo spettatore direttamente nella vicenda raccontata, collocando il punto di vista nel bel mezzo dell’azione. Anche in The Last Duel il regista opta per la medesima posizione creando, questa volta più di altre, un pathos difficilmente replicabile e inaspettato.

The Last Duel risulta quindi un ottimo prodotto se guardiamo alla tecnica narrativa e alla direzione degli attori ma, con la sua durata che sfiora le tre ore, mette a dura prova l’attenzione dello spettatore che ha la responsabilità di giudizio nei confronti dell’intera vicenda. La prima parte, infatti, risulta molto più debole rispetto a quelle che seguono e quando ci si accorge del gravoso compito che Scott sta affidando al pubblico, ormai l’attenzione ha già iniziato a risentirne comportando una perdita abbastanza rilevante e portando l’intero progetto ad essere estremamente fragile nel complesso. Il film, in ogni caso, rimane sicuramente uno dei lavori più interessanti che Scott ha portato a termine negli ultimi tempi. Non ci resta che aspettare di vedere cosa ci riserverà il prossimo House of Gucci, un’opera radicalmente diversa da questo progetto che tuttavia testimonia la grande prolificità e varietà del regista statunitense, costantemente alla ricerca di nuovi spunti espressivi.

Erica Nobis