“The Laundromat” di Steven Soderbergh – Recensione (Venezia 76)

The Laundromat

Dopo Contagion (2011) e Side Effects (2013) i quali avevano come oggetto d’indagine perlopiù l’industria farmaceutica, Steven Soderbergh torna con The Laundromat a riflettere criticamente sul sociale. Abbandonati gli iPhone di Unsane (2018) e di High Flying Bird (2019), il regista statunitense si presenta al 76esimo Festival del Cinema di Venezia con un film estremamente brillante. Basato sulle ricerche di Jake Bernstein, pubblicate in un libro dal titolo Secrecy World: Inside the Panama Papers of Illicit Money Networks and the Global Elite, e sceneggiato dal frequente collaboratore di Soderbergh Scott Z. Burns, The Laundromat racconta nel dettaglio lo scandalo dei Panama Papers con un registro stilistico peculiare.

Prendendo in prestito l’ironia de La grande scommessa (Adam McKay, 2015) e la struttura narrativa di Storie pazzesche (Damián Szifrón, 2014), Soderbergh cerca di mostrare attraverso i drammi di diversi personaggi i problemi causati dell’avarizia umana. Tutto ciò, sfondando continuamente la quarta parete, con i due partner finanziari Jürgen Mossack (Gary Oldman) e Ramón Fonseca (Antonio Banderas) che in più occasioni si fermano ad introdurre direttamente allo spettatore l’insieme di pratiche economiche adoperate dai loro clienti per evadere le tasse in totale sicurezza.

Da questo punto di vista, Steven Soderbergh si dimostra molto acuto in The Laundromat nella sua scelta di trattare il tema sì con serietà, ma dedicando allo stesso tempo una particolare attenzione alla ricezione spettatoriale. Invece di partire direttamente dal caso Panama Papers, e dunque dagli 11 milioni di documenti resi pubblici da una fonte anonima nel 2015 contenenti informazioni dettagliate su tutti gli illeciti commessi dalla società Mossack Fonseca e affiliate, Soderbergh vi si avvicina cautamente. Il focus dell’opera, infatti, sono innanzitutto le persone che si sono trovate a dover fare i conti con i disagi causati dalla rete di Mossack e di Fonseca, e proprio in virtù di questa scelta precisa il film si sviluppa per episodi.

The Laundromat

È proprio attraverso l’immedesimazione nei personaggi e nelle situazioni proposte in ciascun episodio che risiede la forza di The Laundromat. Il film, che sarebbe potuto benissimo essere un racconto didascalico e nozionistico (che avrebbe in ogni caso raccolto il gusto di una certa fetta di pubblico, se The Post di Steven Spielberg e Il caso Spotlight di Tom McCarthy possono essere indicativi in tal senso), è una raccolta di fatti e di eventi che illustrano l’avarizia e il degrado morale di un certo tipo di pratiche e come questo riguardi non solo la parte più ricca della popolazione mondiale ma ciascuno di noi, come esemplificato ad esempio dal personaggio di Ellen Martin (Meryl Streep).

Nei primi minuti del film, possiamo osservare infatti come una gita innocente possa trasformarsi in un vero e proprio incubo personale. Ellen perde il marito in un tragico incidente e si trova a dover combattere per avere un risarcimento da parte dell’assicurazione. Tuttavia, una serie di accordi tra società, apparentemente inesistenti, sembra impedirle di poter ottenere una compensazione adeguata, segno di come ci sia qualcosa, a livello strutturale, che non funziona come dovrebbe. The Laundromat ragiona a partire dall’individuo per cercare di raggiungere l’universale, proponendosi dunque come un’opera che vuole riflettere sulle disuguaglianze, su chi desidera approfittarsi dell’altro per scopi personali dettati dall’avarizia, per trarne un qualsiasi tipo di profitto, che sia monetario o di status.

A tal proposito, The Laundromat appare come un vero e proprio saggio sul denaro e sul suo uso. I personaggi interpretati da Gary Oldman e da Antonio Banderas ci guidano attraverso la realtà economica della contemporaneità, composta da shareholders, trust, margin call, società offshore e migliaia di altre forme, evidenziandone il lato oscuro. E alla base di questo lato oscuro, risiede un modo di pensare che deve necessariamente essere superato: la credenza in metodi oppressivi, che interpretano l’alterità come uno strumento da manipolare, corrompere e sfruttare. Non è necessario essere partecipi delle pratiche di un sistema economico malato per rendersi conto di questa evidenza, e il messaggio di Soderbergh appare cristallino: il problema è nella mentalità, ed è solo attraverso uno sforzo comune che si potrà ambire a superarlo.

Le recensioni di Venezia 76.

Daniele Sacchi