The Palace di Roman Polański, la recensione (Venezia 80)

The Palace

Allontanatosi dalla tagliente indagine storiografica condotta nel precedente L’ufficiale e la spia, Roman Polański ritorna alla commedia grottesca (quella di Che? e di Per favore, non mordermi sul collo!) con The Palace, presentato fuori concorso all’80esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. La cornice è quella di un lussuoso hotel tra le Alpi ispirato allo svizzero Gstaad Palace, l’anno è il 1999 e il nuovo millennio è ormai alle porte. In occasione delle celebrazioni per il capodanno del 2000, un nutrito – ed incredibilmente eccentrico – gruppo di facoltosi ospiti ha raggiunto l’hotel per lasciarsi andare ad una festa sfrenata.

Il compito di cercare di gestire il tutto spetta al meticoloso direttore dell’albergo, Hansueli Kopf (interpretato da Oliver Masucci), a capo di un team variegato di figure professionali pronte a servire gli ospiti durante i festeggiamenti. Lo spauracchio del Millennium Bug, tuttavia, si erge minaccioso sopra le loro teste: l’arrivo del nuovo millennio sarà sufficiente a scongiurare il ripetersi degli errori del passato?

Le suggestioni ricercate da Polański sono principalmente quelle di un “cinepanettone d’autore” capace di ridere di se stesso e di ciò che mira a rappresentare. Tra personalità folli e sopra le righe, un gruppo di scalmanati criminali russi e un pinguino in CGI, The Palace mette in scena una comicità bassa in stile Vacanze di Natale di Carlo Vanzina, in un crescendo di situazioni sempre più assurde e ridicole.

Bisogna scendere a patti con il diavolo e ammettere che The Palace è un film divertente. Stupido dall’inizio alla fine, certo, ma divertente. Vi è ovviamente una critica ad uno specifico modo di concepire la ricchezza e il proprio status sociale, ma il film di Polański non è Triangle of Sadness e non desidera nemmeno esserlo. Al regista interessa più che altro mettere alla berlina, senza peli sulla lingua, la figura del ricco borioso e pieno di sé, senza edulcorazioni, senza moralismi o prese di posizione dichiarate. The Palace è un film su persone ricche e ignoranti, arriviste e sprecone, petulanti e abiette. La superficie è il contenuto e non c’è nient’altro, se non la scelta di abbassare il tono del discorso nei riguardi di ciò che queste persone sono e rappresentano.

Non manca l’autoironia, specialmente da parte di attori come Mickey Rourke o Luca Barbareschi (che è anche tra i produttori del film), una componente integrante e fondamentale di tutto il processo di sovvertimento messo in scena da Polański. In The Palace ciò che è importante non è la bellezza o il piacere estetico: il focus al contrario è la bruttezza, il sottolineare i comportamenti sdegnosi e ripugnanti, l’enfasi sugli escrementi (letterali e metaforici) del Reale. L’unica nota esplicita e pungente Polański la riserva alla Russia, con l’inserimento nel film del discorso di fine anno 1999 di Putin, ma anche qui a pesare di più non è tanto il significato intradiegetico del filmato bensì la scelta stessa di aggiungere questo frammento nel grande affresco di Polański dedicato allo sterco del mondo.

Le recensioni di Venezia 80

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Daniele Sacchi