“Valerie and Her Week of Wonders” di Jaromil Jireš – Recensione

Valerie and Her Week of Wonders

Valerie and Her Week of Wonders (Valerie a týden divů il titolo originale) è insieme a Le margheritine (1966, Věra Chytilová) uno dei migliori esempi di opere cinematografiche partorite dal movimento Nová vlna, la “nuova ondata“ del cinema cecoslovacco. Realizzato nel 1970 e distribuito in Italia con il pittoresco titolo Fantasie di una tredicenne, il film di Jaromil Jireš conclude l’esperienza complessiva di una corrente che cercava, attraverso la propria irruenza visiva, di manifestare un disagio collettivo percepito in profondità da parte del popolo cecoslovacco nei confronti del regima comunista. Sfidando la censura, Valerie and Her Week of Wonders porta sullo schermo un immaginario ricco di elementi dai connotati fortemente sensuali ma anche orrorifici, in netto contrasto con l’apparente purezza della sua giovane protagonista.

Basato sul romanzo surrealista omonimo di Vítězslav Nezval, il film di Jireš non mette in scena un racconto tradizionale ma una cascata di immagini che si fonda su delle semplici premesse. Valerie (Jaroslava Schallerová) vive con la nonna in una casa di campagna, presumibilmente nel 19esimo secolo. La giovane possiede degli orecchini, ricevuti in eredità dalla madre, che presto attirano l’attenzione di un individuo misterioso dalle fattezze tetre e vampiresche (Jirí Prýmek), definito come connestabile dal servo Orlík (Petr Kopriva). Con l’arrivo delle prime mestruazioni di Valerie, la trama del film appare come sempre più incerta, i ruoli dei personaggi mutano così come le loro sembianze, mentre elementi via via sempre più fantastici diventano predominanti rispetto alla rappresentazione del vero e del verosimile.

Valerie and Her Week of Wonders

In Valerie and Her Week of Wonders, nulla è quello che sembra. Jireš altera operativamente la ricezione spettatoriale del materiale filmico attraverso frequenti giustapposizioni tra sentimenti ed emozioni contrastanti, dal sensuale all’orrore, dall’onirico al grottesco, da ciò che è lecito a ciò che è proibito. Scontrandosi con l’educazione religiosa impartita dalla nonna, Valerie si presenta agli occhi dello spettatore come un vero e proprio agente del dissesto in grado di veicolare con la propria corporeità e attraverso il suo peculiare punto di vista, nello sviluppo della propria sessualità, gli imprevedibili dualismi che interagiscono continuamente tra loro nel corso del film. Jaromil Jireš sfida il comune senso del pudore in un’opera coraggiosa – e difficilmente pensabile come producibile al giorno d’oggi in un contesto contemporaneo – che cerca di urtare lo spettatore non solo con un cangiante eclettismo visivo, immerso nelle singolari sinergie tra il bello e il macabro, ma anche con una precisa frammentazione dell’intreccio.

La “confusione” strutturale che permea l’orizzonte narrativo di Valerie and Her Week of Wonders permette a Jireš di fondere sapientemente elementi incredibilmente distanti tra loro in una composizione creativa che rende manifesta l’immaginazione dirompente della protagonista dell’opera. Vampiri, uccelli, furetti, parentele mutevoli, incesti, sermoni per vergini… il film di Jireš scardina ogni forma concepibile di ordine per ricorrere al conturbante e allo scandaloso, specialmente se si considera l’età della protagonista e le numerose sequenze controverse, come, tra le altre cose, il tentativo di stupro nei confronti di Valerie perpetrato dal reverendo Gracián (Jan Klusák). Nel complesso, lo scopo dell’opera è evidente: nel far coincidere gli eventi del film con il primo menarca della protagonista, Jireš presenta di fatto un manifesto e un’analogia dell’inevitabile corruzione dello spirito e dell’innocenza, una critica velata ma pungente di un certo modo di intendere la natura del potere che si dimostra calzante se riletta nel contesto politico, artistico e culturale dal quale ha preso le mosse la Nová vlna.

Daniele Sacchi