Causeway, la recensione del film con Jennifer Lawrence

Causeway

Dopo aver mosso i primi passi nella serialità (come nel caso di Maid), Lila Neugebauer esordisce alla regia di un lungometraggio con Causeway, un piccolo film indipendente di produzione A24 presentato alla Festa del Cinema di Roma e disponibile da pochi giorni su Apple TV+. A 12 anni da Un gelido inverno, Causeway costituisce il ritorno di Jennifer Lawrence ad una realtà più intima e meno strabordante rispetto ai contesti hollywoodiani che, dalle commedie di David O’Russell ai vari The Hunger Games e X-Men, l’hanno vista protagonista nell’ultima decade. Il film di Lila Neugebauer, infatti, è un piccolo trattato sul superamento del trauma e sul valore dell’amicizia, un’opera che fa propri i toni tipici del cinema indipendente americano, a partire dalla riflessione introspettiva sino ad arrivare al conseguente confronto con l’Altro.

La protagonista di Causeway è Lynsey, un soldato americano che, dopo un terribile incidente in Afghanistan, si trova obbligata a lasciare il servizio militare per riprendersi dalle sue ferite fisiche e psicologiche. Nel suo percorso di superamento del trauma, Lynsey ritorna nella sua città natale New Orleans, confrontandosi non solo con la problematicità della sua situazione personale attuale, ma anche con alcuni demoni del passato, a partire dal difficile rapporto con la madre Gloria (interpretata da Linda Emond). Proficuo sarà, in tal senso, l’incontro con un meccanico locale, James (Bryan Tyree Henry), un uomo a sua volta tormentato, segnato da un terribile incidente stradale che, tra le altre cose, lo ha privato di una gamba.

Il Lake Pontchartrain Causeway, il ponte che parte da New Orleans e attraversa il lago Pontchartrain in Louisiana, agisce nel film come metafora di separazione e di conseguente raccordo. La figura del ponte, e più in generale della strada, opera sia per James sia per Lynsey come fonte traumatica, ma anche come momento di ricongiungimento con se stessi e con il passato. Causeway ragiona in diverse occasioni per analogie semplici ma di effetto, come anche nel caso dell’incontro con l’acqua. Nel corso del film, Lynsey si dedica infatti alla pulizia delle piscine. Entrare a contatto con l’acqua diventa non solo un’occasione di ripartenza per la ragazza, ma di vera e propria rinascita, simboleggiata in diverse occasioni dal gesto dell’immersione e della riemersione, un punto di partenza prima personale e, poi, condiviso anche con James.

La regia di Lila Neugebauer è sempre misurata e mai sopra le righe, impegnata a tratteggiare a dovere le due personalità su cui si basa l’intero film, senza mai perdersi in lungaggini eccessive su elementi non strettamente connessi a Lynsey e a James. L’intero focus registico e sceneggiativo è indirizzato sull’esame dei due personaggi e, in particolar modo, sul valore della loro amicizia, enfatizzata a più riprese sia nel progressivo avvicinamento tra Lynsey e James, sia nel realizzare la presenza di alcuni comportamenti contradditori, trascinati dal passato al presente, che rischiano di impedire ad entrambi un superamento definitivo del trauma.

Pur senza rivoluzionare nulla, Causeway riesce ad apparire nel complesso come un ritratto genuino ed autentico dell’atto stesso di sopravvivere e di essere ancora qui, risultando in un prodotto semplice ma chiaro, scorrevole e, soprattutto, privo di alcuna forma di pietismo. In continuità con l’immaginario e con i ritmi proposti tipicamente dal cinema indie statunitense più contenuto e misurato, il film di Lila Neugebauer restituisce un’immagine vivida della necessità della vicinanza.

Daniele Sacchi