“First Cow” di Kelly Reichardt – Recensione

First Cow

1820. Otis Figowitz (soprannominato Cookie) è un cuoco in viaggio verso l’Oregon Country, un territorio ricco di esploratori e di coloni in cerca di fortuna. Una sera, Cookie incontra King-Lu, un uomo di origine cinese in fuga per aver assassinato un uomo russo, e decide di aiutarlo nascondendolo nella sua tenda, salvandogli la vita. Dopo aver stretto amicizia, i due entrano in affari. L’obiettivo? Vendere dolci e guadagnare abbastanza denaro per realizzare i propri sogni. Per attuare il loro piano, però, Cookie e King-Lu dovranno rubare il latte alla First Cow del titolo – la prima e unica mucca presente nella regione – e di proprietà del sovrintendente britannico locale (interpretato da Toby Jones).

Con la storia di Cookie e King-Lu, Kelly Reichardt persegue una precisa indagine sul sogno americano, in continuità con i suoi lavori precedenti e con la sua poetica cinematografica. Per l’occasione, Reichardt collabora nuovamente in fase di sceneggiatura con Jonathan Raymond, già scrittore del romanzo su cui si basa il film, The Half-Life, radicalmente rimaneggiato per essere trasposto su schermo. Spostando l’attenzione verso un’epoca coloniale antecedente agli immaginari western tradizionali, i due autori ci offrono con First Cow una nuova prospettiva di analisi sull’identità americana, perseguendo una narrazione di frontiera che immerge lo spettatore nei ritmi di vita, nelle attività umane, nei sogni e nelle speranze di chi ha cercato di plasmare la propria storia (e, per estensione, una parte della Storia del proprio Paese) con il confronto diretto con il territorio.

First Cow

Reichardt rivolge uno sguardo al passato per rivitalizzare il presente. Il riemergere di ciò che è stato si manifesta, di fatto, sin dalla primissima sequenza di First Cow ambientata ai giorni nostri, con il ritrovamento da parte di una donna di alcune ossa sepolte. Così ne riscopriamo la storia, e insieme ad essa abbracciamo lo spirito di un tempo che non c’è più ma che sopravvive ancora oggi attraverso il sapore romantico dei suoi sogni, per i quali la ricerca di un significato per l’esistenza umana si muove di pari passo con l’ambizione e la determinatezza. Valori accompagnati da un briciolo di illegalità, per Cookie e King-Lu, convinti della necessità di far fruttare le loro abilità – culinarie per il primo, di planning e di negoziazione per il secondo – nel minor tempo possibile, sfruttando di nascosto il latte della mucca del sovrintendente, forse abbassando troppo la guardia nei confronti del mondo spietato che li circonda e che non tollera alcun errore.

First Cow si muove tra istanze capitaliste e identità ancora da costruire, ma il suo cuore è legato al sentimento che lega in profondità i due protagonisti. L’amicizia tra Cookie e King-Lu è una celebrazione dell’unione tra due spiriti affini, per quanto lontani sia da un punto di vista di provenienza geografico-culturale sia per attitudine e carattere, nonché la glorificazione ultima della possibilità di una connessione con l’altro che superi ogni differenza di facciata. Anche per questo, nell’intima caratterizzazione dei rapporti umani e nella lucidità di analisi verso ciò che è realmente importante per noi e per la nostra realtà (senza dimenticare la splendida messa in scena e cornice estetica), First Cow riesce a presentarsi, di fatto, come un manifesto di tutto ciò che il cinema americano dovrebbe ambire a rappresentare oggi.

Daniele Sacchi