KPop Demon Hunters, storia di un “pessimo” affare

KPop Demon Hunters

Chi scrive di cinema oggi si trova spesso nella condizione di inseguire i fenomeni, a dover mettere il proprio tassello nel mosaico della critica prima che il mercato vorace volti pagina e passi al trend successivo. A svariati mesi dal rilascio su Netflix si può ancora parlare di KPop Demon Hunters, fenomeno globale che verosimilmente si affievolirà solo in prossimità dell’uscita della stagione finale di Stranger Things e che porta definitivamente Sony Pictures Animation sul podio dei principali player dell’animazione. Peccato che di questo successo Sony se ne faccia ben poco, avendo venduto con pochissima lungimiranza tutti i diritti a Netflix. Ma forse è proprio questa la ragione del successo del film.

KPop Demon Hunters: la trama è tutta nel titolo. Una band K-Pop composta da tre ragazze caccia i demoni con la musica. Una storia semplice, pensata probabilmente per un pubblico giovane, ma che intercetta anche la crescente ondata di interesse nei confronti del K-Pop e K-Drama. Le protagoniste sono belle, gli antagonisti sono affascinanti, l’animazione è eccezionale (si parla della casa che ha prodotto la saga dello Spider-Verse d’altronde) e, dulcis in fundo, le canzoni e le coreografie sono l’ingrediente chiave e il punto di forza che Sony ha pesantemente sottovalutato.

In un periodo dove neanche il cinema d’essai può sopravvivere senza l’imbuto dei social, il film è costituito di fatto da una sequenza di diverse coreografie, accompagnate da brani corali ultra coinvolgenti, diventati immediatamente dei trend scalando le classifiche mondiali. In pratica, un film pronto per i social. Dall’altro lato c’è un terreno fertile per questo tipo di prodotti. Già dal successo di Bong Joon-ho nel 2019 con Parasite, l’interesse per i prodotti coreani ha oltrepassato la nicchia degli appassionati della cultura orientale e anche quella dei cinefili. Dalla skincare alla musica dei BTS, passando per Squid Game, la Corea è presentissima nella nostra dieta di intrattenimento. Si arriva così al punto cruciale che sono le piattaforme. Netflix, che oltre alla saga del già citato Squid Game ospita una moltitudine di prodotti coreani per tutti i gusti, è il luogo perfetto per la distribuzione e capillarizzazione di un film come KPop Demon Hunters, e la possibilità di vederlo e rivederlo al prezzo di un unico abbonamento non ha fatto altro che facilitarne e accelerarne il successo.

Il che porta alla domanda che forse scagiona Sony dalle accuse di “pessimo” investimento. Il film avrebbe avuto lo stesso successo se fosse stato distribuito in sala in maniera tradizionale? No. Le caratteristiche del prodotto sembrano richiedere il consumo su piattaforma. Certo, forse avrebbero potuto tenersi almeno i diritti musicali, cosa che stupisce da uno studio che è anche una delle principali etichette musicali al mondo. Sony tuttavia non ne esce a bocca asciutta, il film è stato definito il suo Frozen, ovvero il musical della svolta, del rilancio e della riaffermazione di Disney. La similitudine non finisce qui: anche Disney aveva scommesso pochissimo su Frozen, senza aver capito di avere per le mani il nuovo classico di questa generazione. Sony, quindi, nonostante il mancato rientro economico, è adesso la casa d’animazione che detta le regole dopo la vittoria dell’Oscar con Spider-Man: Into the Spider-Verse (2018), che pur essendo un film pop era comunque calato in una nicchia supereroistica ormai satura.

A proposito di pubblico, è giusto toccare un ultimo punto di un certo peso. Il non-detto del mercato cinematografico è che si continua a fare marketing pensando al cinema come un interesse prettamente maschile, rendendo cieche le distribuzioni a prodotti molto promettenti, proprio come è stato per Frozen, o per lo stupore per i dati eccezionali nel weekend di apertura di Barbie. Allo stesso modo si tralascia spesso che il mercato dei social è dominato da creator donne, dai numeri spaventosi, capaci di spostare masse di pubblico enormi. L’arte non ha genere, il mercato purtroppo sì, e come tale è vittima di quelle stesse discriminazioni che interessano la società in maniera trasversale, per cui se certi interessi, certe caratteristiche sono inquadrate come “femminili” vengono automaticamente allocate a budget e sperimentazioni limitati, rendendo sorprendenti fenomeni come KPop Demon Hunters che, invece, presentava a monte tutti gli elementi per un successo globale.

Alberto Militello