Perché uno dei registi più affermati del XXIesimo secolo decide di realizzare una trilogia di b-movie a tema queer? La questione è interessante non tanto per il tema, ma per la scelta di mettere in scena una tipologia di film considerata, almeno sulla carta, più modesta di altre. Questo è il caso di Ethan Coen – insieme alla fedelissima co-autrice Tricia Cooke – per Honey Don’t!, secondo capitolo di una trilogia di b-movie lesbici dopo Drive-Away Dolls.
Torna Margaret Qualley, ormai musa di diversi registi, qui detective privato in un paesino della California del Sud che si trova a gestire un caso più grande del previsto tra morti violente e sette religiose dagli intenti criminali. Lo stile dei due autori, Coen e Cooke, viene fuori in più momenti e in diverse caratteristiche, come l’ambientazione fuori dal tempo. O meglio, un carattere fuori dal tempo. Dai costumi alle automobili, lo spettatore scopre dopo un po’ che il film non è ambientato negli anni ’70, ma ai giorni nostri. Allo stesso modo, il susseguirsi di personaggi improbabili ed eccentrici che la detective si trova a dover affrontare per risolvere il mistero è di impronta tipicamente coeniana. Infine, emerge il gusto per il grottesco, che sfocia nel comico in molte scene d’azione.
A dire dello stesso regista, ciò che lo ha portato a definire il suo lavoro un b-movie è la scelta delle ambientazioni e il ricorso alle scene violente. Inoltre, il film è stato prodotto con circa 20 milioni di dollari, spiccioli per il cinema statunitense. Anche se non direttamente dichiarato, resta l’intento, con l’intera trilogia, di creare dei prodotti pulp che ribaltino i ruoli tradizionali e che definiscano nuovi standard nella rappresentazione di un certo tipo di personaggi. Se in Drive-Away Dolls si ridefiniva il road movie, Margaret Qualley qui ridefinisce il classico detective hard-boiled del noir hollywoodiano: burbera, schietta e diretta, ma allo stesso tempo affascinante. Pur essendo fuori dal tempo, percepiamo lo stesso che la protagonista è un’emarginata, in parte anche per il proprio rifiuto di sottostare agli standard della società.
Honey Don’t! è un film modesto sì, tanto negli intenti quanto nella realizzazione. Non colpisce, intrattiene il giusto, ma riconferma il talento di un’attrice che sembra ormai inarrestabile nella sua ascesa tra le “dive” del cinema e porta avanti nel suo piccolo il dialogo sulla rappresentazione, inclusa una critica sulla società americana. Sicuramente non eccelso, ma godibile. Si resta in attesa del terzo capitolo per trarre le conclusioni sull’intera operazione.
Alberto Militello




