“Last of the Wolves” di Kazuya Shiraishi – Recensione (FEFF 23)

Last of the Wolves

Last of the Wolves è il nuovo film a tema yakuza diretto da Kazuya Shiraishi, seguito di The Blood of Wolves che riprende la storia e le gesta del detective Shūichi Hioka (Tori Matsuzaka). Sebbene sia un sequel, Last of the Wolves è pienamente fruibile come racconto a sé stante in quanto si concentra sullo scontro tra il detective e lo yakuza Shigehiro Uebayashi (Suzuki Ryohei), un personaggio disfunzionale e incredibilmente pericoloso introdotto proprio in questo secondo capitolo.

Hioka, corrotto e legato alla yakuza, si muove ai margini della legalità per cercare di mantenere la tregua tra i clan, mentre Uebayashi – da poco uscito di prigione – desidera ottenere il controllo dell’attività criminale nella città di Hiroshima. Si tratta di una sfida tra ordine e caos, con la costante della criminalità che si dà come sottotraccia imperante di entrambe le dimensioni. Il tutto si muove perfettamente all’interno dei canoni del genere, senza particolari sussulti o deviazioni nei confronti di ciò che ci si aspetterebbe da un titolo di questo tipo. Last of the Wolves accontenta tutti, dall’appassionato allo spettatore “neofita”, ma allo stesso tempo rimane la sensazione che ci si sarebbe potuti spingere un po’ più in là.

Last of the Wolves

Lontane, ad esempio, sono le grandi intuizioni di autori come Takashi Miike o Takeshi Kitano, figure in grado di ridisegnare i confini e le barriere dello yakuza eiga piegando e disarticolando il genere alla continua ricerca di suggestioni atipiche e, a volte, fuori da ogni logica. Ma, in tempi più recenti, anche l’introspezione psicologica e la caratterizzazione dei personaggi nel noir coreano Night in Paradise sono aspetti affrontati in maniera decisamente più acuta rispetto alla stabilità narrativa e strutturale di Last of the Wolves. I due perni centrali del film, Hioka e Uebayashi, sono forse troppo schiacciati dalla loro natura: da un lato, un antieroe che non è mai veramente tale, ingabbiato peraltro in una situazione difficilmente risolvibile; dall’altro, un gangster psicopatico e irrazionale dal background tormentato.

Last of the Wolves è un passo indietro rispetto al brillante film precedente, più interessante e sopra le righe, capace a più riprese di scuotere lo spettatore con le sue immagini dirompenti. Chiariamoci, brutalità e violenza non mancano anche qui, però siamo di fronte più ad un more of the same che ad una vera e propria indagine operativa sulle possibilità della rappresentazione cinematografica. Un peccato, anche se siamo comunque di fronte ad un buon film di genere.

Le recensioni del Far East Film Festival 23

Daniele Sacchi