The Woman King, la recensione del film

The Woman King

Il conflitto tra il Regno di Dahomey e l’Impero Oyo trova una rara rappresentazione in The Woman King, il nuovo film della regista statunitense Gina Prince-Bythewood dedicato alle “amazzoni” africane, le Agojie. Basato su fatti realmente accaduti, The Woman King è un film d’azione ad alto budget che reinterpreta – con grandi libertà – le tensioni e le guerre tra le due fazioni africane nell’Ottocento, adottando come punto di vista principale quello delle guerriere del Regno di Dahomey. Girato in Sud Africa ma ambientato appunto nel Dahomey (l’attuale Benin), il film cerca di raccontare a modo suo la lotta per la libertà, individuale e collettiva, di queste impavide guerriere, al servizio di un re ma, allo stesso tempo, lontane dai presunti doveri richiesti da una società fortemente patriarcale.

Il punto di partenza di The Woman King è, infatti, il rifiuto della giovane Nawi (Thuso Mbedu) di sottomettersi ad un matrimonio combinato dalla sua famiglia. La sua scelta, considerata come gravemente infelice da parte del padre, porterà Nawi ad arruolarsi nelle Agojie, iniziando il suo percorso di addestramento tra le linee di questo gruppo di donne emarginate ma, a modo loro, libere dal giogo del patriarcato. Una figura chiave nel corso della sua crescita come persona e come guerriera sarà Nanisca (Viola Davis), generale delle Agojie e audace guerriera, insieme alla veterana Izogie (Lashana Lynch).

Al di là dei buoni propositi, in The Woman King poco riesce a convincere realmente. Se da un lato la struttura coming of age del film è ben pensata (per quanto ormai navigata e classica) e riesce ad appassionare, dall’altro lato il resto dell’opera è di fatto un pot-pourri disomogeneo di sottotrame poco inquadrate, ciascuna incentrata su un messaggio sociale diverso. Dalle violenze subite da Nanisca alla questione dello schiavismo, dalla sete di libertà di Nawi alla necessità di autodeterminazione di Izogie, dalle istanze colonialiste ai giochi di potere tra il Re Ghezo (John Boyega) e l’Impero Oyo, The Woman King vuole parlare di tutto senza però focalizzarsi mai su nulla. L’aspetto colonialista è sicuramente il meno curato del film, soprattutto se guardiamo al personaggio di Malik (Jordan Bolger), metà portoghese metà dahomiano, la cui funzione narrativa è stucchevole e chiara sin dall’introduzione della sua figura, un meccanismo totalmente artificioso per creare una connessione con Nawi.

E pensare che, in tutto ciò, The Woman King spicca perlopiù non tanto per la sua irrefrenabile voglia di trasmettere un messaggio a tutti i costi, ma per le sue (purtroppo poche) battaglie ben coreografate, dimenticandosi però di eccedere da un punto di vista grafico che, forse, avrebbe aiutato nella resa complessiva del film. A conti fatti, The Woman King è una produzione blockbuster americana sia in termini tecnici, sia nella visione del mondo che propone, a partire dalle modalità rappresentative attraverso le quali decide di affrontare i suoi temi cardine. Nella sua rilettura storica, Gina Prince-Bythewood non affronta mai realmente i disagi passati ed odierni dell’Africa più guerrafondaia, enormemente plagiata da conflitti interni, etnici ed identitari, per dedicarsi invece ad un’interpretazione spettacolarizzante, banale e retorica, di quelli che sono invece alcuni dei disagi sociali radicati in particolar modo nella società americana contemporanea. In tal senso, è curioso che un cinecomic come Black Panther: Wakanda Forever, a maggior rischio di ricadere negli stessi problemi strutturali, riesca invece ad apparire come molto più universale di The Woman King.

Daniele Sacchi