L’Oregon rurale è teatro di una brutale serie di omicidi in Strange Darling, il thriller dalle sfumature horror scritto e diretto da JT Mollner in arrivo nelle sale italiane il 13 febbraio. In stretta collaborazione con l’attore Giovanni Ribisi, qui alla sua prima prova come direttore della fotografia, Mollner opera sugli stilemi classici del genere nel tentativo di decostruirli, lavorando in particolar modo sul sovvertimento delle aspettative spettatoriali. L’obiettivo è presto raggiunto: Strange Darling prende le mosse da un’apparente certezza, la fuga di una donna (denominata Lady nei crediti, interpretata da Willa Fitzgerald) da un uomo (Demon, il demone, interpretato da Kyle Gallner) intenzionato ad ucciderla, per poi fare progressivamente luce su tutta la vicenda, tra exploit di violenza viscerale e twist inaspettati.
Gli snodi narrativi, tuttavia, sono solamente una singola parte dell’estro creativo di un film come Strange Darling, il quale vive anche – e soprattutto – della sua vibrante dimensione estetica. Suddiviso in capitoli presentati non linearmente, il film di Mollner è interamente girato in pellicola 35mm e fa un uso sagace del colore, a partire dalle luci degli ipnotici neon blu dell’insegna di un hotel sino ad arrivare alla predominanza delle tonalità rosso sangue dei vestiti dei protagonisti nonché della fiammante Ford Pinto guidata da Lady (la stessa del kinghiano Cujo, nonostante il diverso cromatismo).
Pur non sconvolgendo mai a fondo con quello che alla fine si rivela essere un canovaccio molto banale, JT Mollner dimostra di possedere una piena consapevolezza della grammatica filmica. In particolar modo, a essere messa in questione è la funzione dei ruoli che i due protagonisti del film sono chiamati a rappresentare. Non si tratta di una mera contrapposizione manichea, bensì di un’effettiva indagine sullo sguardo di chi sta al di là dello schermo. È un discorso che non riguarda solo lo spettatore “navigato” in grado di cogliere lo spirito cinefilo dell’operazione, perché le metodologie interpretative sottoposte al processo di ribaltamento di Mollner sono quelle alla base di un qualsiasi sguardo formato da determinati costrutti sociali. In questo senso, Strange Darling è innanzitutto un’esplorazione lucida su come interpretiamo i ruoli di genere nel tessuto del Reale, ed è proprio attraverso l’annullamento di una prospettiva “riconosciuta” che il film riesce a scavare un po’ più in là rispetto al tipico thriller sanguinolento.
Di fatto, se in questa messa in crisi dei modelli di rappresentazione tradizionali relativi a certe dinamiche intersoggettive Strange Darling riesce ad imporsi con decisione, per il resto ciò che ci troviamo di fronte è un bizzarro pulp che fa della sua struttura rizomatica a capitoli il suo punto di forza maggiore. I capitoli, lo ricordiamo, si susseguono alla rinfusa, proprio per attuare – e allo stesso tempo esibire – tutta l’impalcatura decostruttiva su cui il film si regge, riuscendo a mantenere alta l’attenzione spettatoriale nella sua costante messa in interrogazione. E, come ogni gioco decostruttivo ben riuscito, Strange Darling può anche essere letto e interpretato attraverso un’ottica più semplice e naïf che lo descrive esattamente per ciò che è: uno spassoso e intrattenente bagno di sangue.
Daniele Sacchi