Il cinema d’autore continua ad offrire splendide perle in un oceano di dubbi e incertezze, tra le difficoltà del periodo pandemico e un pubblico che preferisce dare fiducia, perlopiù, a blockbuster raffazzonati e poco ispirati rispetto al cinema di qualità. Per il quarto anno, ecco una nostra selezione dei film più interessanti distribuiti in Italia nel corso del 2021 (qui la lista dei migliori film del 2020) a partire dalle mie scelte personali, presentate senza alcun particolare ordine o classifica.
Drive My Car di Ryūsuke Hamaguchi
Sono ben due i film di Ryūsuke Hamaguchi a comparire in questa lista. Il primo è Drive My Car, adattamento dell’omonimo racconto di Haruki Murakami, con il regista giapponese che lavora di introspezione, trasportandoci nell’universo interiore di un regista e attore teatrale che ha da poco perso la moglie. Drive My Car è un dramma maturo che coniuga il valore del silenzio, del vuoto e dell’attesa con il dominio della parola e del confronto, in un’equilibrata commistione quasi ossimorica che vive di riflessioni esistenzialiste e di lirismi poetici.
È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino
È stata la mano di Dio è il film più personale di Paolo Sorrentino e, da un certo punto di vista, il più interessante della sua filmografia. Tra percorsi autobiografici, derive immaginarie e numerosi riferimenti cinematografici, Sorrentino propone un racconto di formazione che scava nel suo vissuto, lo rielabora e lo risemantizza in un confronto con l’immagine cinematografica stessa, immergendo allo stesso tempo lo spettatore in un clima sociale e culturale preciso – quello napoletano – che si erge a modalità interpretativa del reale.
Evangelion 3.0+1.0 Thrice Upon a Time di Hideaki Anno
Hideaki Anno – nonché uno dei più grandi autori di animazione di tutti i tempi – conclude la sua tetralogia Rebuild of Evangelion con un magnum opus che è in perfetto equilibrio tra la necessità di voler costruire un nuovo immaginario e il suo volersi porre come una pura eco del passato. Anno rivede la sua creatura originaria (la serie Neon Genesis Evangelion), ne decostruisce gli orizzonti, ne amplia le prospettive, portando infine a degno compimento un percorso creativo avviato più di venti anni fa.
Spesso è bene ricordare come il cinema statunitense non si riduca solamente ai blockbuster puerili che invadono le nostre sale o ai classici biopic acchiappa-Oscar. First Cow di Kelly Reichardt ragiona sull’identità degli Stati Uniti guardando al passato, ma con l’obiettivo di individuare una nuova linfa vitale per il presente. L’amicizia tra i ladri di latte e novelli “pasticceri” Cookie e King-Lu diventa in tal senso una profonda allegoria sul valore dei sentimenti che ci legano, sui sogni e sulle nostre storie personali (e, di conseguenza, anche sulla Storia stessa), in un elogio alla vicinanza umana che supera ogni possibile volontà prevaricatrice.
Il collezionista di carte di Paul Schrader
Per continuare l’elogio ad un certo tipo di cinema americano, Paul Schrader costituisce pienamente ciò che significa il voler andare oltre all’immagine stessa, alle virtù e proprietà del rappresentato, per esplorarne i margini, le zone di confine, le implicazioni destrutturanti. Ne Il collezionista di carte, Schrader si confronta con i fantasmi di Abu Ghraib con un film incredibilmente attuale, un’opera innervata con lo statuto stesso dell’immagine contemporanea (non solo cinematografica) e guidata da un anti-eroe che ha, suo malgrado, compreso la natura del tessuto sociale paranoide e maniacale in cui si trova costretto a doversi continuamente riorientare.
Il gioco del destino e della fantasia di Ryūsuke Hamaguchi
Il secondo film di Ryūsuke Hamaguchi a comparire in questa lista è lo splendido Il gioco del destino e della fantasia. Il punto di riferimento fondamentale per l’autore giapponese sembra essere il cinema di Éric Rohmer, dall’autenticità e spontaneità dei dialoghi sino ad arrivare ad un esame sincero dei rapporti umani. Il film è diviso in tre racconti non correlati da un punto di vista narrativo, ma intimamente legati nel voler esplorare le frontiere del desiderio, delle coincidenze della vita e dei sentimenti che ci uniscono l’un con l’altro.
The Father di Florian Zeller
The Father è l’esordio alla regia dello scrittore e drammaturgo francese Florian Zeller, adattamento cinematografico della sua pièce teatrale omonima. Zeller indaga le difficoltà di un uomo che soffre di demenza senile (interpretato da un meraviglioso Anthony Hopkins) agendo su diversi livelli, a partire dal racconto del suo progressivo declino quotidiano sino ad arrivare ad una vera e propria traduzione per immagine della sua sofferenza. Lavorando anche di scenografia e di montaggio, Zeller architetta un labirinto visuale delocalizzato, sospeso tra una temporalità sfuggente e una spazialità incerta. Immergendoci a fondo nel tormento interiore ed esteriore del suo protagonista, Zeller ci dona un’opera prima dall’impatto scenico ed emotivo folgorante.
The French Dispatch di Wes Anderson
Un po’ com’era accaduto – con modalità differenti – nel C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino, Wes Anderson concentra in The French Dispatch tutte le peculiarità fondamentali del suo cinema, realizzando di fatto una summa della sua poetica ed estetica. Evitando di ingabbiare il suo estro registico e sceneggiativo in una singola unità narrativa, Wes Anderson scompone e destruttura la trama del suo film riorganizzandola tra le pagine e i diversi format di una rivista giornalistica, muovendosi in un orizzonte postmoderno radicalmente decostruito, ma ancora sapientemente intrecciato con la sua precisa idea di cinema.
Titane è la sovversiva Palma d’oro di quest’anno, la sconvolgente opera seconda di Julia Ducournau. In sospeso tra gli echi del cinema cronenberghiano e le ossessioni metalliche di Tsukamoto, Titane mette in scena la crisi identitaria del soggetto contemporaneo con il personaggio della giovane Alexia, una ragazza che vede la sua umanità irrimediabilmente frammentata e lacerata, corrotta nei rapporti familiari e, di conseguenza, nell’interfacciarsi con l’alterità. Alla ricerca di una ricomposizione identitaria forse impossibile, Alexia troverà una eventuale risposta alla sua unica legge – il doloroso godimento compenetrante con il metallo – nel suo rapporto ambiguo con l’altrettanto lacerato Vincent (un grandissimo Vincent Lindon).
Un altro giro di Thomas Vinterberg
Un altro giro è l’inno alla vita di Thomas Vinterberg, una commedia introspettiva che prende le mosse dal dramma personale del suo protagonista, il professore Martin (Mads Mikkelsen), per individuare una risposta positiva e liberatoria al dolore. A fare da collante nel cambiamento di prospettiva, un bizzarro esperimento alcolico: insieme ad alcuni amici e colleghi, Martin decide di bere alcol quotidianamente, cercando di mantenere il tasso alcolemico abbastanza basso per godersi la vita con relax e creatività. Il regista danese, scosso dalla perdita della figlia, realizza così un insolito film catartico in particolar modo per se stesso, una proficua ricerca della positività dinanzi alle dolorose avversità della vita.
Infine, due menzioni speciali: tra i film più belli dell’anno meritano di essere ricordati anche Beginning di Dea Kulumbegashvili, una folgorante opera prima contro la violenza sulle donne, e One Second di Zhang Yimou, una profonda celebrazione della settima arte.
Infine, le scelte dei miei collaboratori.
Per Alberto Militello:
Freaks Out di Gabriele Mainetti
Mondocane di Alessandro Celli (in foto)
Tick, Tick… Boom! di Lin-Manuel Miranda
Per Erica Nobis:
Don’t Look Up di Adam McKay (in foto)
Il collezionista di carte di Paul Schrader
Per Chiara Passoni:
Malcolm & Marie di Sam Levinson
Marx può aspettare di Marco Bellocchio
Per Lucio di Pietro Marcello
Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó
Shiva Baby di Emma Seligman (in foto)
Per Gianluca Tana:
Il buco di Michelangelo Frammartino (in foto)
Il legionario di Hleb Papou
No Time to Die di Cary Fukunaga
Sesso sfortunato o follie porno di Radu Jude
Menzioni speciali: Giulia di Ciro De Caro e Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis
Insomma, nonostante le difficoltà pandemiche, la varietà qualitativa delle produzioni cinematografiche dell’ultimo anno è notevole: il cinema, fortunatamente, continua a vivere.
Daniele Sacchi